L’astensione alle elezioni e il pericolo nascosto

Il dato delle astensioni registrato nelle ultime elezioni regionali conferma la gravità di un momento storico dal quale emerge nitidamente il grave senso di impotenza che serpeggia nel paese. Fuori dai facili proclami di chi, in modo tendenzioso, continua a fornire la fotografia di un paese ottimista e spensierato, occorre ammettere che il corpo sociale continua ad essere attraversato da inquietudini di cui tutti conosciamo le ragioni. Il declino del ceto medio, meglio, la sua progressiva “proletarizzazione”, rappresenta il dato più evidente di una società caratterizzata da un alto tasso di concentrazione di ricchezza. Lavoratori dipendenti, pensionati e grandi imprese sono i veri “sovventori” di uno Stato sociale che la politica ha smesso di difendere. In proposito, si ponga mente allo stato comatoso in cui versa la sanità pubblica che ha costretto il cittadino a rassegnarsi alla graduale traslazione del servizio nelle mani predatorie di privati i quali hanno capito che, sulla salute, si possono costruire fortune colossali.

Il sistema scolastico, la giustizia, i trasporti, il sistema previdenziale, sono tutti comparti di un apparato pubblico che non riesce più a soddisfare i bisogni del cittadino. Da tempo stiamo assistendo al graduale smantellamento del vecchio Welfare da tutti, ormai, ritenuto insostenibile. In verità, la crisi dello Stato sociale e il declino del ceto medio risultano strettamente connessi alla crisi della democrazia liberale che non sembra preoccupare più di tanto il cittadino il quale non sembra aver capito che solo un solido sistema democratico è in grado di domare gli “spiriti animali” del capitalismo.

Il sistema capitalistico, infatti, ha più volte dimostrato nella storia di essere in grado di coesistere anche con le autocrazie le quali, a differenza dei sistemi democratici, non si pongono il problema di risolvere il conflitto distributivo connaturato all’economia di mercato. Il capitalismo vanta storicamente la capacità di creare in modo poderoso una ricchezza che tende strutturalmente a coagularsi nella mani di pochi. L’avvento del mercato globale ha esaltato questa prerogativa per cui oggi occorre prendere atto che l’aumento delle disuguaglianze sociali rappresenta un pericoloso detonatore in grado di far saltare le basi democratiche di qualsiasi società.

In proposito sarebbe opportuno riflettere sui pericoli di un mercato che continua incessantemente a cambiare i propri connotati giungendo perfino a entrare in contraddizione con se stesso: ha senso teorizzare un mercato privo di concorrenza? Sotto l’urto delle grandi multinazionali e delle potenti big tech, oggi assistiamo all’incapacità della politica di difendere le istituzioni democratiche e il mercato. Le grandi scelte, un tempo appannaggio dei parlamenti nazionali, oggi appartengono ad entità non sempre visibili in grado di esercitare sulle assemblee elettive una pressione che il ceto politico non è in grado di arginare. E qui giungiamo alla madre di tutte le crisi da cui si sono originate le altre che abbiamo citato. Ci riferiamo alla crisi della democrazia rappresentativa che, in modo sinistro, evoca l’assunto marxista secondo cui lo Stato rappresenta lo strumento di cui si serve la “borghesia” per imporre i propri interessi.

L’astensione registrata negli ultimi anni rischia di avallare, senza volerlo, la visione di uno Stato che resta inerte davanti allo straripante potere di lobby e di potentati che sono in grado di condizionare gli organi decisori. Il diffuso senso di impotenza che si respira all’interno del corpo sociale rappresenta l’elemento che ha determinato l’ondata populista che ha travolto l’Occidente. Davanti alle disuguaglianze del pianeta, da cui si originano le ansie che hanno fatto da lievito al populismo autoritario che tutti conosciamo, le democrazie hanno l’obbligo di reagire e di non arrendersi. Esiste un solo modo per farlo: combattendo ogni sorta di ingiustizia sociale, creando nuove forme di protezione sociale e scardinando lo strapotere di quelle consorterie che hanno trasformato i governi in fedeli esecutori delle loro volontà. Torna imperioso il monito di Rousseau: “eliminate opulenza e miseria: dalla prima nascono i tiranni, dalla seconda i sostenitori della tirannide”.

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