Non è troppo azzardato sostenere che Trump tratti numerosi dossier di politica estera come oggetti che appaiono e scompaiono nella mani di un prestigiatore, o come palle di un giocoliere che aleggiano momentaneamente in aria.
Ma quali sono i risultati effettivi di un attivismo forse eccessivo? Il quadro complessivo non mostra una strategia coerente e presenta numerose criticità su diversi scacchieri internazionali. Certamente il focus internazionale della diplomazia americana è l’Asia e la Cina resta al centro delle preoccupazioni. Il periplo di Trump di questi giorni è centrato sul riprendere in mano e rafforzare alcune alleanze con Giappone, Malesia, Thailandia, Corea del Sud, dissipando le diffuse paure di guerre commerciali con la firma di accordi tariffari stabili. Ma sono le “terre rare” – così essenziali per le produzioni più avanzate tecnologicamente – il primo obiettivo del presidente Usa. Da qui le intese già siglate con Thailandia e Malesia e il negoziato cruciale con Pechino, che detiene circa il 70% della produzione mondiale (con capacità di raffinamento che sale quasi al 90%).
In Medio Oriente il tanto sbandierato Piano di pace in 20 punti, pur limitando i danni per i civili, segna il passo per la sostanziale cattiva volontà di Israele e di Hamas. Gli attacchi militari israelo-americani in Iran hanno spaventato il regime degli ayatollah, ma non hanno dato un colpo decisivo al programma nucleare spingendo probabilmente Teheran ad accelerare la corsa alla bomba.
Quanto al conflitto in Ucraina – al di là delle velleitarie e contraddittorie iniziative per mettere fine alla “operazione militare” sbandando tra il sostegno a Putin, il dialogo con Zelensky e sanzioni su società russe –, il risultato netto è quello di aver spinto la Russia nelle braccia della Cina. Analogamente, la minaccia di Washington di imporre sanzioni secondarie all’India a causa di accordi commerciali con la Russia o l’Iran, ha spinto New Delhi ad aumentare gli acquisti di petrolio dai russi, rafforzare la cooperazione economica con la Cina e usare valute alternative al dollaro.
E’ inquietante, poi, notare come agli occhi del presidente americano il diritto internazionale, con tutte le regole in cui si è stratificato nel tempo, sia del tutto ininfluente. E da ciò discendono gli attacchi militari contro imbarcazioni “sospettate” di traffico di droga nel Mar dei Caraibi, al largo delle coste venezuelane e nell’Oceano Pacifico orientale. E nel mirino di Trump sembra esserci il regime del presidente venezuelano Maduro, qualificato come “narco-terrorista” e contro il quale sono state autorizzate operazioni di diverso tipo nella sua strategia di contrasto ai traffici di droga e di esseri umani.
Forse è con gli alleati europei che Trump ha conseguito i risultati migliori. Le minacce di forti dazi e barriere tariffarie sui prodotti esportati nel mercato americano hanno portato ad accordi sicuramente vantaggiosi per gli Usa, mentre l’atteggiamento eccessivamente “servile” mostrato dal Segretario generale della Nato Rutte nei confronti di Trump, ha mostrato senza ombra di dubbio la totale dipendenza militare dei Paesi europei costretti a comprare armi americane per il loro “riarmo” e per sostenere Kiev nel suo sforzo bellico.
Se si vuole cercare un filo conduttore o un “leitmotiv” nella politica estera del capo della Casa Bianca, si deve probabilmente far riferimento alla sua ossessione nell’essere insignito del Nobel per la Pace.
Si può certamente dubitare se vi sia nel suo carattere un afflato genuino nel volere la pace in Medio Oriente come in Ucraina e altrove, ma c’è da sperare che i suoi tentativi, guidati o meno dall’ego smisurato, producano qualche risultato.
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