Le parole che servono ai laici spaventati

Uno oggi sta bene. Poi, fra un anno, sta male. Fra due fa la chemio. Fra tre è morto. Quattro palate di terra e fine della storia. Perché, non funziona così, forse?

E’ un pensiero sotterraneo, che fatica a emergere, sommerso com’è da tutta la fuffa, tutto il pattume, il ciarpame, le cretinate nelle quali avvoltoliamo le nostre vite, una lunga, continua, eterna rimozione dell’unico tema che abbia un senso e che ne dia uno all’esistenza: la cognizione della fine. Lo sosteneva anche il nichilista Céline: “La mia fonte d’ispirazione è la morte. Solo la morte. Il resto non conta niente”. E noi invece rimuoviamo e rimuoviamo e rimuoviamo, un unico presente continuo infinito nel quale il tema viene nascosto, archiviato, censurato.

Poi però, come una madeleine proustiana, torna a galla all’improvviso. E allora sono guai. E paura e sgomento e angoscia e notti d’inferno perché se è così, allora niente ha una ragione e uno si domanda che cosa voglia mai dire questa presa in giro, questa buffonata, questa baracconata. Dolore, sofferenza, ingiustizia, abbandono, tradimento, sangue, solitudine: niente ha senso se non c’è un senso in quello che accade.

E’ questo l’abisso mentale nel quale precipita “l’ateo di fatto”, di cui ha parlato in un passaggio acuminato il nuovo Papa. Ma non l’ateismo vero, ragionato, convinto, frutto di una profonda riflessione e di una vera e propria scommessa: scommetto sul nulla. Troppo impegnativo, troppo nobile, troppo faticoso, addirittura eroico, come scriveva Dostoevskij in una riflessione gigantesca: “L’ateo assoluto sta sul penultimo gradino della più perfetta fede, mentre l’indifferente non ha più nessuna fede. Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti a un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei”.

No, qui stiamo parlando di tutti gli altri. Dei battezzati che vivono da atei, come ha detto Leone XIV, degli agnostici, dei confusi, dei superficiali, dei conigli e dei vigliacchi, degli ipocriti e dei farisei, che si nutrono di apparenze, rituali, feste comandate e dell’eterna rimozione di cui sopra. Insomma, stiamo parlando di noi. E di chi altri, sennò? Le chiese sono vuote, almeno in Occidente, segno tangibile, plastico, di una civiltà morente, di un secolo già morto e del trionfo di un laicismo straccione che non ha alcun pensiero forte alternativo da proporre - altro che stoicismo, cinismo o materialismo - al posto di quello (sconfitto?) del cristianesimo, ma solo consumismo, conformismo, narcisismo, edonismo, massa, gente, popolo bue, evasione, rimozione, appunto.

E fra le cose più inutili che un laico confuso e spaventato possa aspettarsi da un Papa, da un nuovo Papa come questo, è che si adegui e si modelli e si modernizzi per “entrare in sintonia” con la società, che parli e si comporti come un cooperante, un benemerito, un crocerossino, un altruista, un ambientalista, un femminista, un sindacalista, come se noi ci aspettassimo che il Papa possa salvare il mondo, possa emendarlo da tutti i suoi peccati, possa riscattare l’umanità. Ridicolo. La povertà c’è sempre stata e sempre ci sarà. Solo un cretino può sporgersi da un balcone e annunciare che è stata abolita. E solo un cretino può credergli. L’ingiustizia ci sarà sempre così come il sopruso e la gogna e la violenza e tutti i sette peccati capitali e se anche il buon Dio prendesse tutti gli esseri umani e li precipitasse all’inferno a farsi ustionare e forconare da Astaroth e Asmodeo per i prossimi mille anni, una volta riemersi totalmente pentiti e purificati riprenderebbero dopo un minuto a comportarsi esattamente come prima. Perché questa è la loro natura.

E tu lo sai. E hai paura. Magari hai già cinquant’anni, magari sessanta, e sei conscio che ogni giorno può essere quello giusto e ti guardi intorno e ti guardi dentro e capisci che, in fondo, non hai combinato niente di buono, tu con le tue ridicole aspirazioni, le tue ridicole velleità, la tua ridicola carriera, la tua ridicola arrampicata sociale balzachiana, le tue grottesche frequentazioni e i tuoi ancor più grotteschi salotti e convivi e simposi, mentre invece tutto è basato sul nulla ed è quando te ne rendi conto che non sai più dove sbattere la testa.

E allora anche per un laico, soprattutto per un laico, non interessa tanto che il Papa gli parli dell’Ucraina, di Gaza o dei migranti - tutti temi centrali e tragici, per carità - ma che gli parli di Dio. Anche se lui non ci crede. Anche se ci crede poco e male, con la tendenza a dimenticarsene appena voltato l’angolo della strada. E che gli dica che senso c’è in tutto questo teatrino, anche se poi lui continuerà a non farcela a seguirlo, a non avere il dono che tanto vorrebbe avere, ma che non ha. Ha bisogno che il Papa gli parli di “altro”, che sia “altro” rispetto all’attualità, alla modernità, alla contemporaneità. Altro e antico e “diverso”, soprattutto. Anche se scandaloso, anche se paradossale. Anzi, soprattutto se scandaloso e paradossale.

Al laico disorientato e spaventato dalla sua vita che gli scappa tra le mani non interessa nulla dei pensierini, dei gesùbambini occhioazzurrini, della minestrina che il sistema dei media, della comunicazione globale unica massificata collettiva sta rimestando da decenni e che sta sbrodolando anche su Leone XIV – e quanto è buono e quanto è bravo e quanto è simpatico e quanto è umano: una roba da vergognarsi – al laico disorientato e spaventato serve un’elegia sul mistero, sulla genesi della vita e sulla sua fine, sulla luna di Leopardi, sul perpetuarsi del suo piccolo Golgota quotidiano. Gli serve quello che quel genio di Ennio Flaiano ha scolpito nella pietra in una pagina fortemente autobiografica nella quale immaginava il ritorno di Cristo sulla terra, infastidito da tv e giornali, ma attento solo ai sofferenti: “Un uomo condusse a Gesù la sua figlia malata e gli disse: “Io non voglio che tu la guarisca, io voglio che tu la ami” ”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA