L’eterno semaforo che governa l’italia

Nella primavera del 1997 su Raidue è andato in onda, con grande successo, uno spettacolo di intrattenimento intitolato “Pippo Chennedy Show”, ideato e condotto da Serena Dandini e da quel genio di Corrado Guzzanti.

Il pezzo forte del programma era la satira politica, con le parodie dei leader più in vista del momento, di destra e di sinistra, tutte spassosissime, tra le quali spiccavano per irresistibilità quella di Walter Veltroni e, soprattutto, quella di Romano Prodi, all’epoca presidente del consiglio. L’intuizione formidabile di quella imitazione – è facilmente reperibile in rete: basta digitare “Prodi Guzzanti Pippo” - era appunto quella del premier con il suo faccione da parallelepipedo tutta costruita attorno alla metafora del “semaforo”: “Stiamo calmi, stiamo tranquilli, attorno al semaforo tutti corrono, van di fretta, fanno le corna fuori dal finestrino, ma lui, il semaforo, sta fermo, tranquillo, immobile, nessuno lo tocca, nessuno lo sposta… bisogna governare con grande fermezza… e infatti io sto fermo, immobile… semaforo…”.

L’imitazione era straordinaria perché coglieva grazie a un solo sostantivo la natura profonda della visione del potere di Prodi e del suo mondo, la sua falsa bonomia, la sua falsa cortesia, il suo feroce cinismo democristiano che un analista di costume di assoluto valore come il compianto Edmondo Berselli aveva sintetizzato nella definizione “Prodi gronda bontà da tutti gli artigli”. Ed era proprio così. L’Italia, che è l’Italia e non è né la Francia né la Gran Bretagna, e ha la sua povera storia, si può governare solo in questo modo. Stando fermi. Immobili. Lasciandosi scivolare tutto addosso. Accantonando i problemi, rinviandoli, insabbiandoli, tenendo le briglie lunghe alle corporazioni, ai gruppi di interesse, alle burocrazie, al sottogoverno clientelare, limitandosi a regolare il traffico giusto quel che basta per non farsene travolgere. Per il resto, fermi. Immobili. Come un semaforo, appunto.

Ora, si dirà che stiamo parlando di trent’anni fa, di altri tempi, di seconda Repubblica e che adesso è cambiato tutto: la politica, i protagonisti, il contesto internazionale, l’Italia. Beh, diamo questa notizia. Non è vero. Non è cambiato un bel niente. O meglio, come da memorabile lezione gattopardesca, è cambiato tutto perché nulla cambiasse. Se si analizza con un po’ di attenzione e togliendosi il paraocchi dell’ideologia, della faziosità e del servilismo che acceca gli elettori e i giornalisti, l’ultima manovra economica, anzi, le ultime tre, e si tira un bilancio di questi anni di governo di centrodestra, si potrebbe azzardare che morto un semaforo se ne fa un altro. E che il nuovo semaforo della politica italiana è Giorgia Meloni.

Ora, paragonare il profilo, la postura, la formazione e l’eloquio di Prodi a quello della Meloni sembra una bestemmia. Ci sono due tipi più diametralmente opposti? Ma non vediamo il presidente del consiglio come alza la voce, come aggredisce le opposizioni, i sindacati e qualche politico straniero, com’è urticante nei comizi, quante ne dice e ne stradice ai media, in Italia e all’estero, com’è perennemente all’attacco eccetera eccetera? Che c’entra un’autodidatta sanguigna romana con i modi flautati e soffiati del pacioso professore emiliano?

Certo, tutto vero. Ma questa è comunicazione. E’ marketing. È fumo negli occhi, specialità nella quale la premier è oggettivamente una fuoriclasse, visto che il melonismo in purezza è uno stile di divulgazione di massa di grandissima efficacia. Però sono fanfaluche che si bevono gli ultras della sua parte, che così si illudono che in Italia si stia veramente realizzando la rivoluzione nazional-conservatrice promessa prima del voto e che si bevono quei cervelloni di sinistra, che credono veramente che stiamo assistendo a una deriva autoritaria, che la libertà di espressione sia in pericolo, che il fascismo e il trumpismo e il suprematismo e il nazionalismo siano alle porte e tutto il resto delle scemenze che si sbrodolano addosso nei loro grotteschi talk show resistenziali.

Diamoci tutti una svegliata. Quello è solo un teatrino - la politica in Italia è un teatrino, l’informazione in Italia è un teatrino - al quale abboccano i gonzi di destra e i gonzi di sinistra.

Chi non ha ancora portato il cervello all’ammasso vede benissimo la lunga, sottile e immortale linea rossa - o nera, come preferite - che prosegue immutabile, da governo di destra a governo di sinistra, sempre uguale, sempre la stessa: più Stato, più protezione, più corporazione, più sovvenzione, meno mercato, meno merito, meno innovazione, meno competizione. Punto. La politica estera della Meloni è la politica estera che qualunque premier italiano è costretto a fare, nel solco americano e occidentale. E ci mancherebbe altro. La politica economica è la stessa di Draghi, la stessa di Monti, la stessa di tutti, tenuta dei conti e tanti saluti alla rivoluzione fiscale e della scuola e della sanità e della previdenza e del “adesso è finita la pacchia!”. Resta la solita Italia. La solita Italietta.

E anche il blocco sociale che la sostiene è sempre il solito. Ma davvero crediamo che il 40% degli italiani sia fatto da fascisti, nazionalisti e golpisti? Ma davvero? È il solito 40% al quale vanno bene le cose come stanno senza avere alcuna intenzione di finire nelle mani dei radicali chiacchieroni da terrazza, dei flotilleros, dei partigiani del terzo millennio e di tutto il resto della fuffa che rende impresentabile una sinistra che sta perdendo se stessa.

La Meloni urla, sbraita, gigioneggia. Ma è teatro. In realtà, lei sta ferma. Immobile. Non fa niente. E il suo niente, lo fa benissimo. I problemi si accumulano.

E lei non li risolve, visto che è certa di governare per altri vent’anni, anche perché, per sua fortuna, da quelle parti non ci sono né D’Alema né Bertinotti pronti a pugnalarla alla schiena. Eh sì, ci vorrebbe un nuovo Guzzanti per dedicarle una parodia che le renda finalmente giustizia.

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