
“Uniamoci”: questo l’inedito e drammatico appello del primo ministro indiano, Modi, ai colleghi dei Paesi Brics chiamati in questi giorni a raccolta dal presidente cinese Xi Jinping a Pechino.
L’India - che finora aveva mantenuto una sostanziale equidistanza tra l’Occidente (conservatore e garante dell’ordine economico mondiale attuale) e i grandi Paesi “revisionisti” come Cina, Russia e Brasile - lancia un messaggio inedito e dalle conseguenze imprevedibili.
Dopo 25 anni di politiche americane volte a mantenere l’India agganciata al sistema dominato dal dollaro e in potenziale conflitto con Pechino, Trump con le sue politiche tariffarie muscolari ( 50% di aumento a India e Brasile) è riuscito a strappare la trama di una tela che era stata tessuta con grande duttilità e cautela.
E non è solo New Delhi che ha deciso di cambiare rotta: il Brasile di Lula ha chiaramente fatto capire che ci saranno pesanti ripercussioni commerciali nei confronti di Washington. Che cosa emergerà dalla riunione dei membri della “Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai” di Tianjin, alla presenza dei leader di 26 Stati? Rispetto al recente passato, certamente una maggiore consapevolezza e determinazione a procedere sulla strada del rigetto del “bullismo” statunitense e della diversificazione delle reti commerciali interne al blocco.
Ma si va anche verso un più forte coordinamento diplomatico in termini di risposte tariffarie a livello nazionale e per una decisa azione volta a cambiare gli equilibri all’interno delle diverse articolazioni delle Nazioni Unite. L’obiettivo più ambizioso, per il momento ancora sullo sfondo vista la complessità del tema, è la de-dollarizzazione, ovvero la riduzione della dipendenza dal dollaro nelle transazioni commerciali, nelle riserve valutarie delle Banche centrali e nei mercati finanziari globali.
Del resto, ci sono già state prove generali con pagamenti in moneta diversa dal dollaro tra Cina e Arabia Saudita per acquisti di petrolio in yuan, o tra India e Russia che hanno firmato accordi per pagamenti in rupie indiane e rubli in settori del commercio bilaterale.
Ma se tutto ciò provocasse un ulteriore rappresaglia commerciale da parte del presidente americano, si porrà un immediato problema anche per l’Unione europea e per il Vecchio continente in generale. Non è escluso infatti che i Brics potrebbero chiedere all’Europa di dirottare i flussi commerciali verso di noi per compensare le perdite.
E qui Bruxelles e le principali Cancellerie europee si troverebbero di fronte ad un bivio: seguire l’alleato americano nella sua guerra a tutto campo o valutare una strada diversa che non ci metta in conflitto con il “mondo nuovo”, ovvero con le potenze che stanno emergendo e che entro la fine del secolo saranno probabilmente preponderanti economicamente.
Tutte le ambiguità che finora hanno consentito alla nostra premier Meloni, a Macron, a Merz e a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, nel cercare di contemperare interessi europei e americani, potrebbero infrangersi contro una realtà dolorosa.
Il “Re è nudo!, come racconta la favola di Andersen, e non ci possiamo più nascondere che dall’altra parte dell’Atlantico guardano esclusivamente al proprio interesse.
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