Vi è una deriva lenta ma inesorabile che interessa la nostra società civile, da sempre buonista e tollerante delle più disparate nefandezze purché supportate da adeguata motivazione ideologica. Si va verso l’impunità che è già imperante ma sta assumendo connotati sempre più inquietanti. Ve ne sono innumerevoli esempi, a volte denunciati, altre volte passati in sordina ed altre ancora addirittura giustificati.
La carrellata è ricca. La criminalità di piccolo cabotaggio, nonostante la sua pericolosità sociale, viene sottovalutata e resta per lo più concretamente impunita. I borseggiatori, se colti in flagrante e arrestati, puntualmente vengono rilasciati e anche se processati se la cavano con la condizionale, concessa più e più volte ancora perché le carceri sono troppo piene. A tacer del fatto che la stessa funzione della pena detentiva viene ormai messa in discussione.
Il fenomeno dei Maranza - immigrati di seconda generazione che di integrarsi non ne vogliono sapere - genera furti, rapine, traffico di droga, aggressioni e mette sotto scacco interi quartieri delle grandi città. Inutile dire che anche questa categoria che sta allettando la vita quotidiana dei poveri cittadini onesti è di fatto libera di agire pressoché certa che l’impunita sia quasi garantita. La ragione sottesa non sta solo nella debolezza dello Stato, ma è anche ideologica: bisogna essere comprensivi e tolleranti in attesa (probabilmente vana) che si ravvedano e si integrino. Le forze dell’ordine non sono in grado di farvi fronte adeguatamente, per carenze di organico, ma soprattutto perché se lo fanno e qualcuno si fa male, finiscono sotto processo. E questo è un fenomeno tutto italiano. Si mette in discussione l’uso della forza perché non si vuole uno Stato forte, repressivo, visto come pericolo per la democrazia.
Passiamo ai sovversivi. Ad ogni sacrosanta manifestazione, ovunque si tenga e di qualunque matrice sia, compaiono alcune centinaia di facinorosi che spaccano tutto e aggrediscono le forze dell’ordine. Sono lì solo per quello. Lo Stato sa perfettamente chi sono, li identifica e li denuncia costantemente, da anni. Non mi risulta – salvo rare eccezioni – che ai disordini siano mai seguiti processi e condanne per direttissima. E ciò perché, secondo una certa ideologia, il diritto di protestare - anche quando è abusato e strumentalizzato - non deve avere limiti.
Ci sono poi fenomeni più miti ma non meno gravi. Sono ormai ricordi sbiaditi le vicende dei furti a Malpensa da parte degli addetti ai bagagli – licenziati e poi tutti reintegrati e risarciti per cavilli formali – e dei furbetti del cartellino – stesso film – che sono sempre lì a percepire lo stipendio. La logica sottesa è che il posto di lavoro non si può toccare per alcuna ragione, disonestà compresa. Un bel messaggio di civiltà. Non se la passa meno bene la politica, dove l’impunità ha una lunga tradizione. Negli ultimi tempi si sono toccate però vette inarrivabili.
Due esempi per tutti di persone che in una società sana di mente sarebbero state emarginate e invece sono balzate alle cronache e sono state premiate dalla politica: il Generale Vannacci e Ilaria Salis. Il primo, autore di un libro che, pur esprimendo nel titolo un concetto non irreale, era pieno di epiteti discriminatori, sessisti e razzisti, è stato eretto a guru della destra dura e pura ed è approdato molto velocemente al Parlamento Europeo. La seconda, con quattro condanne passate in giudicato per reati contro l’ordine pubblico (circa 3 anni e mezzo di pene tutte sospese) e denunciata ventinove volte per atti sovversivi, finita nelle carceri ungheresi per aggressione aggravata ad un neonazista, è stata eretta a eroina della sinistra e inviata anch’essa al Parlamento Europeo che le ha pure confermato l’immunità. Per un normale cittadino, una delle vicende più squallide della storia della democrazia rappresentativa.
In questo contesto, è inevitabile che si diffonda una cultura dell’impunità il cui effetto però va ben oltre il consentire di farla franca. L’impunità veicola la convinzione di poter eludere le regole giuridiche e sociali che stanno alla base della civile convivenza. Che a sua volta è alla base della pace sociale. Chi vi presta il fianco deve essere consapevole delle conseguenze di involuzione e disgregazione sociale che si generano. Poiché l’impunità, in tutti quei contesti che di fatto – anche in buona fede, più spesso però in mala fede – la avallano, ha nomi e cognomi, non ci si venga poi a lamentare quando sarà troppo tardi per recuperare una convivenza civile irrimediabilmente compromessa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA