Misure pro natalità: la politica si unisca

Di record in record, la natalità italiana continua a fare da apripista a livello mondiale, purtroppo però nella direzione sbagliata, quella di una decrescita rapidissima. Siamo stati il primo Paese al mondo, nel 1995, nel quale la popolazione anziana ha superato per consistenza quella giovane.

Di nuovo siamo stati i primi fino a poco tempo fa ad aver toccato il minimo della natalità, superati adesso dalla Corea del Sud ma pur sempre fermi a 1,18 figli in media per donna nel 2024, appena sopra la metà di quanto servirebbe per mantenere stabile il numero dei nostri abitanti. Quest’anno, secondo alcuni calcoli elaborati dal Sole 24 Ore sulla base dei dati Istat, potremmo fare ancora di peggio. Nei primi cinque mesi del 2025 si sono registrate infatti poco più di 137mila nascite a fronte delle oltre 149mila dello scorso anno (un calo del 7,9%). Di conseguenza, se non ci fossero inattese inversioni di rotta, l’anno potrebbe chiudersi con circa 340mila nati, meno dei 370.000 nati del 2024 che pure avevano fatto segnare un nuovo minimo storico. Nel 1995, per fare un confronto, in Italia i nati sfioravano i 530mila.

Di fronte a un rimpicciolimento della popolazione e a un invecchiamento così intensi, in queste ore, potrebbe venire in mente - quasi per contrasto - la piazza gremita da oltre un milione di ragazzi e ragazze di tutto il mondo riuniti a Roma per il Giubileo dei Giovani. Non è un caso che la Chiesa, nemmeno lontanamente sospettabile di lasciare indietro i più anziani, scelga di dedicare tanta attenzione alle nuove generazioni. Alcuni dei messaggi lanciati nelle scorse ore da Papa Leone XIV, infatti, sono naturalmente legati alla giovane età: l’appello ad “aspirare a cose grandi”, oppure l’invito – rivolto ai fedeli dal Papa che ha parafrasato il predecessore Francesco – a non allarmarsi “se ci scopriamo interiormente assetati, inquieti, incompleti, desiderosi di senso e di futuro. Non siamo malati, siamo vivi!”. E come non ricordare Papa Giovanni Paolo II che nel 2000 sempre a Roma ringraziava i protagonisti della Giornata Mondiale della Gioventù per il loro “chiasso”?

Aspirazioni, inquietudine, futuro, rumore e sviluppo sono – anche nel mondo secolare – concetti naturalmente associati all’età giovanile. Possiamo immaginare come cambierebbe, anzi come sta già cambiando e di certo non in meglio, una società nella quale il numero dei giovani si assottiglia, quasi fino a scomparire. Dalla consapevolezza della posta in gioco non può che discendere un cambio di passo delle politiche pubbliche e in generale della postura della nostra società rispetto alla sfida della natalità. I partiti politici hanno davanti a sé meno di due mesi prima che entri nel vivo il dibattito sulla Legge di Bilancio annuale. Potrebbero archiviare da subito schermaglie che hanno il sapore di un inutile ritornello estivo, come quelle sul cosiddetto “ius Italiae” o sui nuovi eventuali balzelli da addossare alle banche, e cercare per una volta un terreno d’incontro su alcune scelte legislative strategiche pro natalità. I vincoli di finanza pubblica sono una garanzia per tutti gli Italiani, bene fa il governo a tenerne conto, ma quest’anno sarebbe serio evitare ballon d’essai (come l’azzeramento delle tasse per le famiglie con più di due figli, di cui si parlò nella primavera 2023) e quantificare invece alcune proposte normative, a partire da quelle (meritorie) lanciate da esponenti di governo. Si potrebbe misurare per esempio quanto costerebbe per i conti dello Stato (cioè per noi contribuenti) rafforzare ancora i congedi parentali, o ampliare la platea dell’assegno unico che non dovrebbe essere considerato uno strumento anti-povertà, oltre alla conferma che le misure nataliste non vadano a incidere sull’Isee sommandosi al calcolo del reddito. Chi potrà dire no ad almeno una di queste ipotesi, se è vero che tutti i partiti nella campagna elettorale del 2022 evocavano il problema demografico? Se la politica adottasse un approccio simile, farebbe senz’altro un passo in avanti per l’interesse nazionale. Ma nemmeno questo basterebbe.

Sono sempre più numerosi gli studi internazionali che dimostrano come gli interventi dei governi in materia di natalità siano un fattore necessario ma non sufficiente per risollevare il numero delle nascite. Natalità e conciliazione vita lavorativa-vita familiare devono diventare priorità (ancora una volta misurabili in termini di iniziative da attuare e obiettivi da raggiungere) in ogni ambito della società, con in testa tutte le aziende a partecipazione statale e le amministrazioni pubbliche. Da una demografia meno “sbilanciata”, d’altronde, dipendono anche le future possibilità di crescita economica di tutto il tessuto aziendale e di sviluppo dell’intera comunità nazionale.

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