La storia della letteratura, della filosofia e delle religioni è ricchissima di testi dedicati alla fine dei tempi. Alla fine del mondo. All’Apocalisse. Al Giudizio Universale.
E uno dei più terribili - a detta di molti, il più terribile – è il celeberrimo “Il discorso del Cristo morto” di Jean Paul, scrittore tedesco a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento e tra il classicismo e il romanticismo, talento di fatto non classificabile in alcuna categoria, che ha fatto del sogno, della proiezione onirica dell’esistenza il suo tratto distintivo, in questo davvero vicino a un altro gigante, benché figlio di un altro secolo e di un altro mondo, pervaso dalla stessa sensibilità metafisica come Borges.
In questo racconto brevissimo, sulfureo e devastante, accade che all’improvviso scenda dall’altare una nobile figura che porta su di sé i segni del dolore incancellabile degli esseri umani e, alla sua vista, tutti i morti gridano: “Cristo! Non c’è nessun Dio?”. E Cristo risponde: “Nessuno!”. Qui, ben prima di Nietzsche, ci troviamo di fronte a una delle basi più profonde del nichilismo, della disperazione dell’esistenza, della sua assenza di senso, che Jean Paul scolpisce nella pietra in una pagina indimenticabile, facendo parlare un Cristo solo e abbandonato: “Ho percorso i mondi, sono salito sui soli e ho volato con le vie lattee per i deserti del cielo; ma non esiste alcun Dio. Sono disceso fin dove l’essere proietta le sue ombre, e ho guardato l’abisso e ho chiamato: “Padre, dove sei?”, ma mi ha risposto solo l’eterna tempesta che nessuno governa, e lo scintillante arcobaleno degli esseri si levava sopra l’abisso senza un sole che l’avesse creato. E quando il mio sguardo si levò verso il mondo infinito alla ricerca dell’occhio divino, il mondo mi fissò con un’orbita vuota e sfondata; e l’eternità giaceva sul caos e lo rodeva e rimasticava se stessa. Gridate ancora, note discordanti, e distruggete le ombre; perché Egli non esiste!”.
Terribile, vero? Sconvolgente, al netto della qualità assoluta, quasi inarrivabile della scrittura, che raggiunge il suo apice nel passaggio nel quale i bambini morti - gli innocenti per definizione - tutti i milioni di miliardi di miliardi di bambini morti nella lunghissima storia del nostro basso mondo si gettano ai piedi dell’altare e chiedono: “Gesù, non abbiamo padre?”. - E Cristo risponde con un fiotto di lacrime: “Siamo tutti orfani, io e voi, siamo senza padre”.
Come detto, questo è uno dei punti fondativi del nichilismo, ma in realtà ne rappresenta anche la confutazione, visto che nel finale del racconto (che nella traduzione Madame De Staël aveva omesso, così da fornire all’ateismo il suo sfondo e il suo clima) il protagonista si sveglia, si rende conto di aver “solo” sognato e la sua anima piange di gioia perché adesso può tornare a credere e ad adorare Dio. E’ un testo frutto di una fase tragica della vita di Jean Paul, segnata da gravissime ristrettezze economiche, dalla perdita di alcuni affetti e dal suicidio del fratello, ma che naturalmente, come fa sempre la grande letteratura, va ben oltre il dato personale per diventare un messaggio universale. Per diventare un classico. Un libro che vale sempre, ovunque e per tutti.
E cosa c’è di straziante, di universalmente straziante, nel messaggio di queste poche pagine perfette? E’ così facile. L’impossibilità per l’uomo, per qualsiasi uomo, di qualsiasi età, cultura ed estrazione sociale di comprendere e accettare la morte, innanzitutto, e poi il dolore, la sofferenza, l’angoscia. La sua gratuità, soprattutto. La sua ingiustizia, la sua ingiustizia profonda e la sua assoluta mancanza di senso. Perché devo morire? Perché devo soffrire? Questo non è un pensierino caramelloso sfornato per le feste di fine anno, quando, mentre le nostre panze e le nostre trippe attendono con bramosia il cenone, ci sentiamo ipocritamente tutti più buoni, tutti più casti e tutti più sensibili, cosa che ovviamente non siamo, ma una dura, esiziale e implacabile legge della vita. L’unica che c’è, a pensarci bene.
La verità è che a ogni Natale ci tocca fare la macabra contabilità della sequela di lutti e di abbandoni che abbiamo subito nel nostro insignificante microcosmo, per non parlare delle stragi e delle tragedie nell’universo mondo. E ancora di più ci consolidiamo nella malinconica certezza di quanto gli esseri umani siano deboli e fragili e vigliacchi e miserabili e soprattutto deludenti, quanto non siano - quanto non siamo - mai all’altezza di quello che dovrebbero essere. E di come questo infinito oceano di dolore sia governato da un Dio silente, un Dio nascosto, un Dio immobile. Perché? Perché lo fa? Come può permettere tutto questo, se esiste davvero? Perché? Che senso ha tutta questa commedia, tutta questa baracconata? Pure Cristo, il suo Figlio prediletto, nello straordinario racconto di Jean Paul, si sente tradito, perché mentre sulla croce almeno gli urla “Perché mi hai abbandonato?” qui è molto peggio, perché gli urla “Perché non esisti?”: “Come ciascuno è solo nell’immensa tomba dell’universo! Accanto a me ci sono solo io – O padre! O padre! Dov’è mai il tuo seno infinito, perché io possa trovare su di esso riposo?”.
Commovente. Siamo davvero a uno dei vertici più assoluti e abissali della letteratura di sempre, regalatoci da uno scrittore che non era affatto ateo, ma che in queste pagine getta tutta la sua potenza espressiva per gridare come non sia possibile che Dio esista se la sofferenza è così universale e pone a tutti un problema irrisolvibile per le nostre povere forze, naturalmente, ma che nessuno uomo - ateo, agnostico o credente - può eludere.
Ci tocca scommettere, se ne abbiamo il coraggio. Lo ricorda Pascal in una riflessione memorabile: “Dio esiste o Dio non esiste. Per quale di queste due ipotesi volete scommettere? / Per nessuna delle due. La risposta giusta è non scommettere affatto. / Vi sbagliate. Puntare è necessario, non è affatto facoltativo. Anche voi siete incastrato”.
@DiegoMinonzio
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