Netanyahu vuole un “Grande Israele”

Il fatto che il governo di Israele, dopo aver cercato in ogni modo di rendere nulla l’opera di mediazione degli Usa per una tregua, abbia lunedì 5 maggio approvato un piano che prevede l’aumento delle azioni militari a Gaza e l’occupazione a tempo indeterminato della Striscia (o di sue cospicue porzioni) può stupire solo chi non ha seguito gli eventi dell’ultimo anno e mezzo o le anime belle che, appunto dopo tanto tempo e tanti morti, di colpo trovano criticabile la postura del governo Netanyahu.

È chiaro da quel dì, infatti, che né la salvezza degli ostaggi ancora prigionieri dei terroristi di Hamas né la fine del conflitto sono obiettivi prioritari per Netanyahu e il Governo di suprematisti che lo accompagna. È vero invece il contrario: la vita di un centinaio di persone è un pegno sacrificabile alla costruzione del “grande Israele” che è da sempre il sogno del sionismo radicale, e la guerra permanente è il mezzo più rapido per realizzarlo.

Basta guardarsi intorno. Lo Stato ebraico, ovvero la nazione che dal 1948 è per definizione “minacciata”, oggi occupa Gaza, frammenta sempre più la Cisgiordania palestinese con le truppe d’assalto dei coloni, occupa un pezzo di Libano, bombarda senza sosta la Siria di cui occupa a Sud una fetta sempre più ampia, minaccia la Turchia (che offre il suo patronato al nuovo regime siriano degli ex Al Qaeda di Al-Jolani) e persegue con tenacia l’obiettivo di una guerra aperta contro l’Iran, cercando di trascinare in essa anche gli Stati Uniti. Al punto che Donald Trump ha dovuto licenziare (anche se, promoveatur ut amoveatur, l’ha nominato ambasciatore all’Onu) Michael Waltz, il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, colpevole di brigare con Netanyahu per scatenare quella guerra su cui la Casa Bianca non è d’accordo. Mezzo Medio Oriente deve difendersi dalla nazione “minacciata”, ecco la realtà.

E che l’obiettivo sia ben altro che la sicurezza (più che legittima, ovviamente) dello Stato ebraico e del popolo israeliano lo dimostra la sequenza dei fatti. Hamas è stato neutralizzato (lo ripete Netanyahu un giorno sì e uno no), i gazawi decimati e affamati, ma la Striscia di Gaza deve essere occupata. Il Governo palestinese della Cisgiordania non fa che atti di sottomissione al potere di Israele e collabora con le sue forze di sicurezza contro i simpatizzati e i militanti di Hamas, ma questo non serve a impedire che la terra palestinese sia via via erosa per la costruzione del grande Israele. Hamas in Libano è stato annichilito ma parte del Sud del Libano è nelle mani delle truppe israeliane. La Siria dell’ex qaedista Al-Jolani non ha alzato un dito contro Israele ma viene trattata come un nemico mortale. E all’Iran Netanyahu vuole imporre la rinuncia totale al nucleare, compreso quello per usi civili, con un ricatto (o così o la guerra) che nessun Paese potrebbe accettare. Non dimentichiamo che nel 2015 Barack Obama firmò con gli ayatollah un trattato per garantire la rinuncia al nucleare per usi militari, un trattato che a detta di tutti (Ue, Onu, amministrazione Usa, Germania) funzionava. Ma non piaceva a Netanyahu e Trump, nel 2018, si affrettò a disdirlo, mentre ora cerca con affanno di resuscitarlo.

L’attuale politica israeliana gode di due potenti alleati, insieme diventati invincibili. Il primo è la potenza economica e militare degli Stati Uniti. Per la Casa Bianca, chiunque la occupi, Israele è il Paese-chiave per il controllo delle rotte che vanno dall’Atlantico all’Indo-Pacifico passando per il nostro Mediterraneo. In più, qualunque presidente Usa sa che l’influenza delle lobby filo-sioniste americane è tale da rendere assolutamente pericolante il cammino politico di chiunque possa pensare di opporsi.

Il secondo alleato della presente politica del Governo israeliano è l’indifferenza sommata all’incoscienza dei vertici politici europei. Qui siamo davvero alla commedia dell’assurdo. Un solo esempio: gli esponenti della Ue, come quelli dei singoli Paesi che ne fanno parte, sono corsi a omaggiare il leader siriano Al-Jolani e a riaprire le ambasciate a Damasco. Ma nello stesso tempo rendono omaggio alla politica israeliana di aggressione alla Siria, come se fosse tutto uguale, tutto ammissibile. Ma soprattutto: davvero noi europei crediamo che un Medio Oriente messo a ferro e fuoco per le ambizioni di Netanyahu sarà più stabile e sicuro?

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