“Papa boys”: una generazione che scuote gli adulti

«Non accontentatevi di meno». Le parole di Papa Leone hanno la leggerezza dell’esortazione e la fermezza del monito. Eccola la generazione che non si accontenta.

Ha colmato per una settimana le strade di Roma, ha riempito un campo immenso di bandiere e di zaini. È la generazione che non ha paura delle distanze, le de-materializza, al fine le ridicolizza. È la generazione che non discute di sovranismi, di nazionalismi, di protezione dei confini, perché li polverizza. È la generazione che mette in crisi gli adulti, i loro spaventi, l’ansia e l’apprensione. È la generazione che scuote la Chiesa e chiede a tutte le parrocchie del mondo di tenere agibile la soglia e non complicarne il varco con barricate di biasimo sui loro linguaggi e il loro stile. È la generazione che implora gli adulti a non ritenere tutto scontato e quindi tutto fermo. Quel milione di ragazze e ragazzi dovrebbero diventare il nostro assillo quotidiano a cogliere altre opportunità.

La lezione di Papa Leone nei due capitoli di Tor Vergata, notte della Veglia e Messa del Giubileo, inchioda prima di tutto la coscienza degli adulti e interroga le istituzioni globali. Chi blocca i sogni? Chi intrappola le generazioni nel presente, frenando l’esercizio della memoria e l’attesa per quello che verrà? Chi avvelena i tempi e li rende noiosi? Chi brevetta ogni giorno un nuovo algoritmo che alla fine conferma soltanto la «finitezza delle cose che passano», ha detto il Papa ricordando l’insegnamento attuale del Libro del Qoelet su «tutto è vanità»? Un milione di giovani a Tor Vergata possono essere nulla, ovvero solo un divertimento per la penna frizzante di giornalistici affascinati dall’ovvio della Woodstock cattolica, dei Papa Boys e oggi anche delle Papa Girls, che è più politicamente corretto in tempi di parità di genere. Come se fossero anche loro una generazione da proteggere, perché di così fatti non se ne trovano più sul mercato e allora lasciamoli cantare e ballare, ma teniamoli bene a bada, proteggiamo il loro giovanilismo, perché non sia mai che diventi anch’esso movimento, consapevolezza, responsabilità politica e sociale. Robert Prevost ha scelto invece di mettersi sul versante opposto delle analisi scontate sui «Neet», frutto dell’osservazioni di maestri cattivi o semplicemente indolenti circa chi non si impegna, non studia, non lavora, si chiude in casa davanti ad uno schermo e alla fine giustificano quella che viene definita la «generazione scomparsa», poiché troppa fatica sarebbe ammettere le proprie colpe.

Leone XIV ha ribaltato in questi giorni con ostinazione la prospettiva, ha stravolto regole e certezze e ha spiegato che porre il problema della questione giovanile significa confrontarsi con la riforma del mondo e soprattutto significa smetterla con il mantra della fragilità delle giovani generazioni. Ma non ha inventato nulla e si è posto nel cammino dei suoi predecessori. Cosa fece Angelo Roncalli a 81 anni inaugurando il Concilio l’11 ottobre 1962, se non porre alla Chiesa la questione del “ringiovanimento“come archetipo della riforma? I giovani hanno già dimostrato che si può cambiare la storia, che «un altro mondo è possibile», come ha osservato Papa Leone. Ribelli? Sì. Sul pratone di Tor Vergata si è vista una generazione ribelle, che non accetta di proteggere la propria bandiera, ma la lascia sventolare libera al vento. Il Papa li ha sollecitati ad andare oltre, a confrontarsi con le grandi domande. Non ha mostrato stupore o sorpresa, perché quelli che aveva davanti hanno già deciso che loro al mondo così come è non intendono adattarsi. Non li ha consolati. Ad un certo punto ieri mattina ha infilato nell’omelia una frase che potrebbe provocare più di uno choc: «La fragilità è parte della meraviglia che siamo». Con mezza riga ha sbaragliato in un baleno montagne di indagini, approfondimenti e convinzioni e giustificazioni assolute di adulti che alla fine comunicano ai giovani solo la propria debolezza, calpestano la propria responsabilità di padri, di madri, di maestri ed educatori, di preti, di Vescovi. Estrarre e giustificare la fragilità, come se fosse aliena alla vita vera, è un’operazione anti evangelica.

Gesù a quello ricco e giovane non ha detto di essere se stesso, non lo ha protetto nella sua fragilità. Ha detto: «Seguimi!». Il Vangelo non stupisce, il Vangelo interroga. E quel milione di Tor Vergata è solo la punta di una generazione che non ci sta. Ce ne sono altri milioni convinti che un altro mondo è possibile a Gaza, in Ucraina, in Sudan, in Myanmar, quelli che non sono potuti venire, quelli di quei Paesi “dove era impossibile uscir”». È la generazione che crede la guerra e la dittatura dell’algoritmo un disturbo mentale da curare . Ne abbiamo visto le sentinelle. Ce ne sono molti altri. Non possiamo lasciarli soli, a morire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA