Pd lecchese chi l’ha visto? sotto Attacco delle civiche

Esiste ancora il Partito Democratico a Lecco? Risponde ancora qualcuno al citofono di corso Emanuele Filiberto?

La domanda, ci scuseranno tesserati e militanti locali, è d’obbligo per svariate ragioni. Alcune più attuali, altre invece più stratificate nel tempo.

Ma andiamo con ordine. Tra le prime, vale a dire quelle che balzano all’occhio in questi ultimi giorni, c’è ad esempio il tema della propaganda elettorale. Ormai da settimane la sinistra ha lanciato la sua campagna affissioni: fondo verde petrolio, scritte giallo senape (cromatismi empatici e rassicuranti, per nulla aggressivi) e uno slogan che la dice lunga sul primato politico del welfare e della sostenibilità: “La città per le persone”. E via, la casella “sociale” se l’è presa Alleanza Verdi-Sinistra. Da qualche giorno, poi, ecco aggiungersi Fattore Lecco. Palette ormai canonica, turchese spento e rosso corallo. Colori decisamente più moderni e proattivi, che echeggiano una dimensione urbana e progettuale.

E infatti, il primo messaggio va dritto al cuore delle opere pubbliche e della pianificazione della Lecco 2.0: il nuovo lungolago. E via, spuntata anche la casella opere pubbliche di sicuro appeal. Se l’è presa la civica rossoazzurra.

E il Partito democratico che fa?

Sonnecchia, riposa, riflette, borbotta. Ma di comunicazione nemmeno l’ombra. Forse che il lungolago non è ascrivibile al lavoro, per dirne una, dell’assessore Maria Sacchi in quota dem? Forse che il Pd si è tenuto nella manica l’asso della Piccola? E quando lo esce, a urne aperte? Perché, sia detto per inciso, anche ambiente e viabilità (con il loro corollario di piani parcheggi, zone 30, abbonamenti gratuiti e valorizzazione di torrenti e sentieri) non sono nemmeno in discussione: copyright di AmbientalMente.

E siamo a tre. Civiche tre, Partito democratico zero. Quasi peggio della nazionale di Gattuso.

A questo punto, è interessante fare un piccolo passo indietro.

Anno 2018. Virginio Brivio ha appena varato, non senza fatica, il suo rimpasto di giunta. La foto ricordo ritrae nove assessori. Sei sono del Pd, vicesindaco compresa. Il decimo, ovviamente è il sindaco, lui pure tesserato Pd. In consiglio comunale la maggioranza è altrettanto schiacciante: sedici consiglieri Pd, quattro soltanto alle civiche: i dem hanno peso e lo fanno valere.

Chi ha buona memoria sa che in entrambi i mandati Brivio (precisamente nel 2012 e nel 2018) era stata la “fronda” Pd a determinare rimpasti, spostamenti di caselle, l’apertura dell’esecutivo a nuovi volti ed energie fresche. Insomma, era stato il dibattito interno a idem a ispirare il rilancio della seconda parte di entrambe le consiliature. A caldeggiare, se vogliamo, un riallineamento rispetto al sentimento dei lecchesi e alle loro priorità.

Perché è questo il ruolo di un partito, per chi ci crede ancora. Parlare, discutere, ricostruire legami e cordate, andare alla conta sui vertici e sulle priorità. Ma poi portare un simile patrimonio di incubazioni dentro il Comune, dentro la Giunta, dentro l’azione politica. Non ci sono altri corpi intermedi in grado di farlo. E nessuna sensibilità individuale, per quanto acuta e sintonizzata su radio pancia popolare, può supplire a un simile ruolo.

Un ruolo al quale, però, il Pd ha abdicato da anni.

Il risultato è che ora la coalizione di centrosinistra vive (o vivacchia?) delle abnormi contraddizioni degli avversari, del loro assurdo autosabotarsi e traccheggiare. Ma ha anche perso pezzi. Pezzi importanti.

Il dibattito aspro con le scuole paritarie, la vicenda grottesca dello stadio Rigamonti-Ceppi, il dialogo assente con la minoranza sull’addizionale Irpef (rimasta alla quota massima e senza alzarne l’esenzione), i dissapori sulla partita di Linee Lecco e le frizioni con pezzi del Pd su alcune operazioni urbanistiche (una su tutte, l’addio a via Marco d’Oggiono come nuovo municipio). Sono tutti sintomi evidenti di come sia mancata una sterzata dall’esterno, una di quelle scosse che solo un partito vero e organizzato è in grado di imprimere all’azione amministrativa.

In questo momento il Pd ha rinunciato a una simile funzione. Anzi, a una simile ambizione. Sa di sostenere un sindaco non tesserato dem, ma non gli importa (nonostante la campagna elettorale di Gattinoni ha avuto e avrà, per dirne una, gli stessi colori di quella di Fattore Lecco). Sa di avere sistematicamente rinunciato a tutti gli assessorati più esposti e di sicuro “incasso” politico, ma non gli importa. Sa di avere perso metà dei consiglieri comunali in una sola tornata elettorale e di avere ceduto ampie fette di governance territoriale ai civici, rinunciando peraltro a una vera linea di partito sul territorio. Ma non gli importa.

Forse Mauro Gattinoni vincerà in ogni caso, o forse no. Nessuno può saperlo. Ma il Pd lecchese, poco ma sicuro, non può più permettersi ulteriori cannibalizzazioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA