
La mia fede, cattolica, non è a prova di bomba. Vacilla davanti alla strage dell’umanità e in specie degli innocenti a Gaza, in Ucraina e nelle decine di teatri bellici dimenticati. Calibrata, non senza inciampi sui Vangeli, mi fa spesso chiedere se Dio non sia morto. Per capirci, non mi lascio trascinare nelle dissertazioni semantiche sul genocidio, specie se contagiato dal tifo ideologico e intriso di insipienza storica.
Non sono serpente, ma neppure colomba: e allora perché il Padreterno non invia un messaggio (stile Conclave) a papa Leone, incaricandolo di imporre la pace là dove, a parole, “si puote ciò che si vuole”?
E’ la stessa inquietudine che m’assale quando un bus guidato da un autista alticcio e sonnecchioso si schianta in galleria in Svizzera uccidendo decine di bambini ( una tragedia di qualche anno fa).
Da qui può scaturire un’antologia di errori e orrori distribuiti in mille rivoli che sfociano nel mare di quelle che io chiamo le ‘morti ingiuste’.
A rovescio, mi sfuggono le ragioni dei tanti morti in montagna di questi mesi e delle vite spezzate per il porcino più bello. Provo a uscire da quest’intrigo fra l’alto e il basso per planare sull’angosciante episodio accaduto qualche settimana fa a Galbiate.
A beneficio dei lettori distratti o in vacanza, mi riferisco al ritrovamento di un uomo, cadavere da almeno tre anni, che viveva in un appartamento attiguo a quello del fratello, entrambi single. La frase di prammatica: la magistratura accerterà eventuali responsabilità, attive o omissive, come direbbero i penalisti. A noi tocca cavarne la conferma che anche nei nostri paesi, nelle piccole comunità e non solo nelle aree metropolitane, il cambiamento del contesto sociale e demografico diventa un moltiplicatore silenzioso di quella patologia, ardua da diagnosticare, che va sotto il nome di solitudine.
Una condizione che non riguarda solo gli anziani, ma, occorre ricordare che l’Italia è una delle nazioni più vecchie al mondo con più del 23% dei cittadini con oltre 65 anni. A far da controcanto il costante aumento dell’aspettativa di vita, oggi fissata a 82 per l’uomo e a quasi 87 per la donna. Se a questi dati aggiungiamo la radicale modifica della composizione dei nuclei familiari e, più in generale la fotografia delle relazioni “domiciliari”, ne scaturisce una miscela di fragilità che può esplodere ovunque, anche in forme inaspettate e insondabili.
L’Istat ha recentemente censito che oltre il 30 per cento dei nuclei familiari è composto da una sola persona, un dato destinato al raddoppio nei prossimi 20 anni. Le cifre sono anche applicabili al comune capoluogo e vanno integrate con un altro 30 per cento di nuclei composti da due persone, specchio di una società frammentata e nella quale l’elogio della famiglia numerosa sfiora la retorica. Non voglio inseguire conclusioni improprie nel senso che questo quadro è potenzialmente drammatico: io in primis sono un single per scelta e cuor contento. E, per tenere una tonalità lieve e allegra, sono numerose le vedove spesso rifiorite, capaci di diventare promotrici per sé e per gli altri di relazioni e d’incontri. Non sottovaluto la voce “tornei di burraco” che ormai spopolano in ogni angolo e in ogni dimora.
Voglio invece, seriamente, sottolineare la necessità di attenzione quotidiana alle persone che vanno oltre la sfera della salute e della socialità, prendendo coscienza del fatto che oggi la sfida vera è la “vicinanza con gli individui perché la solitudine è come un killer: se sei solo, sei morto ancor prima di morire”. Parole sacrosante di suor Aziza, la religiosa colombiana che ha girato il mondo e porta sulle spalle il peso e la ricchezza di esperienze che valgono più di certi tomi di geriatri e di soloni tuttologi.
So bene che si vanno approvando leggi che impegnano Asl, Comuni ed Enti di volontariato a investire su forme di invecchiamento attivo, e tuttavia non è per sfiducia nella mano pubblica che dubito del raggiungimento di risultati concreti a breve scadenza.
Un segnale incoraggiante certamente, anche se mi piace ricordare con il rischio di qualche caduta melensa, come fino a qualche anno fa queste misure di attenzione, di sensibilità e di altruismo appartenevano alla piccola storia quotidiana dei nostri quartieri: dai negozi di vicinato ai circoli di opposte fazioni, dove a volte si “spettegolava” degli altri, ma spesso degli altri si facevano gli affari, informandosi sulla salute, sul lavoro e magari ci s’interpellava sugli assenti, come a dire che della scomparsa dell’Angelone Spreafico di Galbiate forse qualcuno si sarebbe accorto, magari nelle festività. Ora per capire di più della sua morte, non servirebbe la magistratura.
C’è un pensiero che m’ha sempre accompagnato, in ogni età: ‘non lasciamo che nessuno passi accanto a noi inutilmente’. Temo, purtroppo, di essere il primo trasgressore.
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