
Se Fonzie (ricordate Happy Days, il mitico telefilm anni ’60, che ha sdoganato l’hey sorridente con contestuale alzata di pollici?) non ce la faceva a chiedere scusa, i politici odierni sono fisiologicamente incapaci di ammettere le sconfitte. L’orizzonte politico è talmente affollato da slogan fini a se stessi, da aver cancellato la capacità di andare oltre alla battutina pensata per un post o per il pastone del Tg della sera, non dovrebbe dunque stupire che anche l’analisi di un risultato elettorale finisca per essere banalizzata da qualche genialata affidata al social media manager di turno.
Ma ciò che è avvenuto dopo l’ultimo referendum va oltre ogni immaginazione. Il Partito Democratico, che con i sindacati ha promosso e sostenuto il “sì” ai cinque quesiti referendari su lavoro e cittadinanza, ha lanciato sui propri canali social un grafico che neppure Tafazzi (avete presente l’omino nero impersonato da Giacomo del trio Aldo Giovanni e Giacomo che si martellava lì dove non batte il sole?). Nel grafico si vede una colonna rossa molto alta con il numero 13 milioni accanto a una colonna blu molto bassa con il numero 12 milioni. E la scritta: “Le italiane e italiani c he hanno chiesto un cambiamento sono 13 milioni”. Mentre “i voti presi da tutta la destra alle elezioni del 2022” sono 12 milioni. Il significato è chiaro: abbiamo vinto, nonostante la sconfitta. E siamo di più della destra di governo.
Una premessa (del tutto priva di interesse pubblico) solo per evitare che queste parole siano interpretate come la posizione di un animoso oppositore dei referendum: il sottoscritto ha ritirato tutte e cinque le schede referendarie per mettere la sua brava X. Per questo l’analisi su quello che è uno dei più riusciti suicidi Dem nella storia della comunicazione non parte certo da posizioni preconcette o pregiudizievoli.
Il fatto è che quel grafico, oltre che essere folle è falso. Falso nei numeri: a parte la prima scheda, nelle altre i “sì” non hanno raggiunto i 13 milioni, per crollare ad appena 9 milioni sul quesito per la cittadinanza.
È falso nel merito: i 12 e più milioni di italiani che hanno votato “sì” lo hanno fatto non per far cadere il governo (magari molti lo hanno fatto anche per quel motivo, ma non certo tutti…), bensì per chiedere l’abrogazione di norme che ritengono ingiuste (tre quesiti, peraltro, chiedevano l’abrogazione di parti del Jobs Act, voluto dal Pd di Renzi). E se i democratici pensano di trasformare quegli elettori consapevoli in povere amebe che hanno risposto a una sterile chiamata alle armi contro il governo, commette un errore clamoroso (anche perché così legittima di fatto l’appello delle destre a disertare le urne).
È falso nel metodo: così facendo si cerca di trasformare una sonora sconfitta (il 30% di votanti è oggettivamente un dato che non può in alcun modo esser visto nell’ottica del bicchiere mezzo pieno, da parte di chi ha voluto quei referendum) in una inesistente vittoria. La verità è che hanno vinto l’astensionismo, la disaffezione alla politica partecipata, e pure l’appello delle destre a non votare. Ed è su questi aspetti che la sinistra dovrebbe riflettere.
Che sia corretto ragionare sui numeri assoluti usciti dalle urne non c’è dubbio, ma lo si faccia fare pubblicamente agli analisti. I Dem, per contro, lo facciano riservatamente, per dare un senso e un valore alle loro battaglia, avendo ben a mente le parole del Dalai Lama ha detto: «Quando perdi, non perdere la lezione».
Ecco, poi ci dovrebbe essere uno stile anche nella vittoria. E quel sorrisino sarcastico di Giorgia Meloni (che è una carica istituzionale, prima ancora che una leader politica) in risposta dell’autogol comunicativo della rivale Elly Schlein non fa onore a chi rappresenta le istituzioni. Cari politici, uscite dai social. Il mondo reale si allontana sempre più dalla cosa pubblica e non è con un selfie che cambierete il mondo.
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