Sinner costretto a dimostrare L’italianità

Da eroe nazionale a traditore della Patria. Questa è l’Italia, volubile e ingrata per tradizione anche verso i suoi figli migliori. Parliamo in questo caso, per fortuna, “solo” di sport, “solo” di Jannik Sinner, uno dei più grandi campioni della storia del tennis mondiale, ma l’invito all’esecrazione arriva da penne illustri. La colpa del ragazzo di Sesto Pusteria, Alto Adige profondo di lingua tedesca e cultura austriaca, è quella di aver annunciato che per quest’anno non parteciperà alla fase finale della Coppa Davis. Apriti cielo, sacrilegio, tradimento del Tricolore.

Ma in realtà dietro la scarsa simpatia (quando non l’aperta ostilità) di una parte del giornalismo e dell’opinione pubblica nei confronti dello Jannik nazionale c’è molto di più.

Non stiamo qui a far nomi, anche perché un certo sentire acrimonioso e vagamente razzista è purtroppo diffuso nel Paese del nazionalismo alle vongole. Una delle firme più riverite del “Corriere della sera” ha invitato (invano) Sinner a non snobbare le finali della Davis per non alimentare tra gli italiani la spiacevole sensazione che a lui in fondo dell’Italia non gliene freghi niente. Ma soprattutto, il più noto maestro del nazional-popolare televisivo non ha resistito alla tentazione dell’affondo aizzapopolo: perché, si è chiesto retoricamente, un italiano dovrebbe tifare per un tedesco che rifiuta la Davis e vive a Montecarlo?

È il caso di ricordare che questo “tedesco”, che pure viene da un angolo di Alto Adige dove il sentimento di italianità è per lo più estraneo, non ha mai mancato di far sapere che si sente italiano e non si è mai sognato di mostrare interesse per le lusinghe della vicina Austria. È un ragazzo del XXI secolo, lontano dalle scemenze dei nazionalismi che tanto male hanno fatto alla sua terra d’origine e rispettoso di tutti. A 106 anni dall’annessione del Sud Tirolo all’Italia, Jannik Sinner è semplicemente un ragazzo italiano appartenente a una minoranza linguistica, un cittadino europeo e soprattutto del mondo.

Questo “tedesco”, come adesso viene qualificato per denigrarlo, ci ha fatto vincere in carrozza due coppe Davis di fila, è il primo tennista italiano ad aver conquistato Wimbledon e ad esser stato (per più di un anno di fila) il numero uno mondiale della racchetta. È di gran lunga lo sportivo italiano più amato, non solo per i suoi successi, ma anche per la sua personalità e – si può ricordarlo senza che qualcuno si offenda? – per la sua educazione in campo e fuori.

Adesso Jannik Sinner fa sapere che salterà un’edizione della Davis per evidente affaticamento e di colpo – almeno secondo certi fini dicitori – retrocede da italiano a tedesco e diventa pure un miserabile evasore fiscale. Premesso che se dovessimo fare la lista degli sportivi italiani che hanno spostato per fini fiscali la loro residenza nel Principato di Monaco non basterebbe una pagina di giornale, facciamo notare che da almeno trent’anni la maglia azzurra – vale per la Coppa Davis come per la Nazionale di calcio - non è più la priorità di un professionista dello sport. Si può esecrare quanto si vuole la preminenza del Dio Denaro, ma è un fatto che lo sport (non solo il tennis) è cambiato, ed è un po’ patetico pretendere che i nostri campioni debbano sentirsi per dovere i vessilliferi della Patria.

Sinner non fa nulla di diverso dagli altri grandissimi del tennis. Roger Federer la Davis non la giocava quasi mai, ma nessuno in Svizzera gli dava per questo del tedesco: anzi, quando si degnò di parteciparvi una volta facendola vincere al suo Paese, fu osannato. Novak Djokovic si è tirato indietro più volte, ma nessuno in Serbia lo ha tacciato di scarso patriottismo. Lo stesso vale per Rafa Nadal, ma nessuno in Spagna gli ha dato dell’isolano arricchito ed egoista.

Diciamo la verità. Il problema principale dell’altoatesino Sinner è di dover dimostrare tutti i giorni di essere italiano per davvero, almeno a certe persone invidiose e di ristrette vedute. La sua idea d’Italia non è la loro. Si è perfino permesso di declinare un invito al Festival di Sanremo, massimo palcoscenico del trash nazionale ridotto anch’esso da almeno trent’anni a penoso simulacro di un passato che non può tornare. Grazie, Jannik, anche di questo. Ci vediamo alla prossima Davis.

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