Sulla russia trump non chiude del tutto

Armi difensive a Kiev attraverso l’Europa, che le compra e le consegna, e ancora 50 giorni di tempo a Vladimir Putin per trovare una soluzione al conflitto ad Est. In caso contrario «sanzioni secondarie» ai partner di Mosca. Ossia chi acquisterà, ad esempio, il petrolio federale vedrà sui suoi prodotti, venduti in Usa, applicare dazi del 100%.

Ecco l’«annuncio importante», tanto atteso, di Donald Trump sulla Russia. Il tycoon è sì «deluso» dal capo del Cremlino, ma, con toni pacati, si tiene le mani ancora libere per una futura mediazione tra russi e ucraini. Il suo è, insomma, soltanto un mezzo passo verso l’inasprimento delle relazioni con Mosca, una scelta morbida.

Molto meno rispetto alle anticipazioni della vigilia, apparse sui media. Di vettori d’attacco, per ora, non c’è manco l’ombra; solo armi difensive per Kiev. Di rilievo, va segnalato, è che gli Stati Uniti non le forniranno direttamente agli ucraini, ma alla «bellicosa» Europa, che se le paga e le dà a Zelensky. Formalmente l’Amministrazione Trump mantiene così la neutralità, necessaria per avere credibilità ai tavoli negoziali.

Fondamentalmente al tycoon non interessa come finirà il conflitto ad Est: chi saranno i vinti, chi saranno i vincitori o se si definiranno equilibri precari che provocheranno una futura tragedia ancora più grave. E i russi lo sanno. L’essenziale per Trump è che ora si finisca di sparare.

Putin, però, non ci sente, come il tycoon ha dichiarato: «Abbiamo avuto una bella conversazione, poi lui bombarda!». Si vogliono salvare i rapporti personali, che potrebbero diventare determinanti se il negoziato dovesse decollare. È conosciuta l’ammirazione di Trump per Putin, anche per una questione di vicinanza di età. In questo campo Zelensky appare indietro nelle simpatie del presidente Usa. Non voglio dire, ha risposto Trump ad una domanda provocatoria di un giornalista, che Putin è un «assassino» – espressione usata dal predecessore Biden – ma è certamente un «tipo tosto». Quindi, niente insulti!

Washington pretende, tuttavia, una svolta nel conflitto ad Est entro 50 giorni. Ossia l’inizio dell’autunno. È risaputo che Vladimir Putin sia convinto di vincere militarmente in Ucraina prima dell’inverno e di essere in grado di dividere, a breve, gli occidentali. Trump ha pertanto posto un limite di tempo accettabile per il Cremlino.

Il problema è che né i russi né gli ucraini appaiono essere disponibili a compromessi. Di un terzo round di colloqui a Istanbul non si ha traccia. Le reazioni russe alle decisioni Usa sono sornione e sottotono. Quasi si ha il fine di salvare Trump, costretto a certe mosse dallo scenario interno (leggi Congresso in subbuglio) e dalle pressioni internazionali. La lettura della situazione è la solita: è Kiev – ora ringalluzzita dall’arrivo di nuove armi - che non intende fare la pace (chiaramente alle condizioni capestro del Cremlino!). E poi se ci saranno «dazi secondari» ai partner di Mosca si troverà il modo di aggirarli. In sintesi, il solito buco nell’acqua con l’Amministrazione Putin; si vuole guadagnare tempo, nonostante l’economia vada male. Semmai potrebbe risultare cruciale sulla tragedia russo-ucraina l’esito dei contatti in corso del ministro degli Esteri Lavrov in Corea del Nord e in Cina.

Kim Jong-un fornirà ancora armi, mentre non è chiaro cosa farà Xi Jinping. Cina, India e Turchia rischiano di diventare i bersagli delle «sanzioni secondarie» di Trump. Pechino, New Delhi e Ankara sono disponibili a finire in tale posizione scomoda? Ci sono 50 giorni, per il Cremlino, per inventarsi qualcosa.

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