Tajani, un “pistola” che sognava il Quirinale

In fondo, è un predestinato. Già nel 1994, trent’anni fa, dopo aver fatto cadere il primo governo guidato da Silvio Berlusconi, Umberto Bossi aveva gratificato Antonio Tajani – allora portavoce del Cavaliere – del titolo di “pistola”.

Oggi, il titolare della Farnesina si è fatto la nemesi da solo, definendosi il “ministro degli Esteri più sfigato della storia”, preso in mezzo tra guerre vere e commerciali, e magari anche scippato della politica estera, sempre più materia esclusiva del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che al leader di Forza Italia forse ha lasciato solo la prerogativa di nominare le feluche.

Che non sia un periodo fortunato per l’ex capo della redazione politica de Il Giornale – penna prestata e mai restituita alla politica – è evidente. Ma la colpa è anche un po’ sua, dopo la serie di sfondoni infilati: prima sull’Iran, cui il tenero Antonio avrebbe detto di non attaccare Israele (e si è visto com’è andata); poi la daltonia su colori e design della bandiera europea, con il blu del manto della Madonna e le dodici stelle delle tribù di Israele disposte in cerchio.

In realtà, molto più prosaicamente e laicamente, il cerchio di stelle dorate rappresenta “solidarietà, unità e armonia tra i popoli d’Europa”, come si legge nei documenti ufficiali pubblicati sui siti dell’ex Cee. Non male per uno che, oltretutto, è stato presidente del Parlamento europeo.

Ma tra le cause della sua sventura non direttamente attribuibili a Tajani, c’è la sortita dell’azionista di maggioranza di Forza Italia – partito al cui vertice, pro tempore, c’è ancora il ministro degli Esteri – Pier Silvio Berlusconi, che con l’annuncio della sua “discesetta in campo” ha mandato un avviso di sfratto allo sventurato Antonio. In questo, cioè nella considerazione padronale del partito azzurro, l’erede ha superato il fondatore, riportando le lancette della storia proprio a quei fatali anni a metà dei Novanta, prima che Silvio – dalla traversata del deserto di una non breve opposizione – decidesse di strutturare la sua creatura politica, pur mantenendone lo stretto controllo.

In sovrappiù, Pier Silvio ha annunciato la necessità di svecchiare la nomenclatura azzurra (mannaggia, proprio quando servirebbe un Pier Tajani non lo si trova mai), e ha stroncato la battaglia per lo Ius Scholae, ormai un evergreen estivo del ministro degli Esteri, costretto perciò a una fantozziana abiura.

Povero Antonio, che peraltro dev’essere frastornato non poco, se è vero che l’altra erede del Cavaliere – Marina, sorella di Pier Silvio – non molto tempo fa aveva auspicato equilibri sociali più avanzati. Dura destreggiarsi tra due vasi di ferro, se magari si ha la tenera consistenza del coccio.

E pensare che Tajani stava facendo un pensierone al Quirinale, poiché – se tutto si terrà e Renzi (non a caso stroncato da Pier Silvio) permettendo – il prossimo presidente della Repubblica spetterà, per la prima volta nella storia, al centrodestra. E un profilo moderato come quello del capo della tribù azzurra avrebbe fatto comodo. Peccato… Ma se l’alternativa diventa Ignazio La Russa…

P.S.: A Pier Silvio, che ha anche accusato lo sciagurato Antonio di non riuscire a occupare l’immenso spazio libero al centro dello schieramento politico, si potrebbe anche dire che se, nel farlo, elogia la Meloni – il cui partito ha da tempo avviato un’Opa di un certo successo proprio su quello spazio – è un filino in contraddizione.

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