Dalle casette in legno con biscotti, salumi e segnaposti natalizi agli hotel a cinque stelle. Nel giro di pochi anni a Lecco dovrebbero sorgere sei nuovi alberghi di lusso, alcuni in punti nevralgici della città, gestiti da catene internazionali. È l’incontro tra l’imprenditoria che ha sperimentato la fertilità delle aree lacustri e la voglia di investire di gruppi finanziari esteri. D’altronde Lecco resta pur sempre un caposaldo del manifatturiero con aziende che fatturano da cento milioni a oltre un miliardo all’anno e non a caso la nostra provincia si conferma all’apice dell’industria meccanica nazionale.
Da un paio di lustri si sta sviluppando un turismo per ora caratterizzato dal business delle case vacanze, mentre gli alberghi hanno ancora un ruolo marginale. Anche l’ultimo fine settimana ha certificato un flusso crescente di turisti mescolato con l’esercito di “clientes”, in pista per lo shopping natalizio.
Un passo indietro: il boom è esploso dopo il Covid che ha registrato una crescita esponenziale dei viaggiatori in ogni angolo del mondo, anche in virtù delle piattaforme online, un autentico trampolino di lancio specie sul versante degli appartamenti, mentre gli alberghi sono costretti a vendere le camere con agenzie, tour operator o organizzatori di eventi.
Tornando a Lecco, nel week-end dell’Immacolata i turisti in città rispetto al 2024 sono aumentati, complice il mercato degli affitti brevi che è arrivato persino a produrre fibrillazioni nel Governo. Le seconde case hanno lasciato il posto agli appartamenti “a giorni alterni”. Tedeschi e polacchi hanno sostituito il circuito brianzolo e milanese.
E nel futuro ci dovrà essere spazio per qualsiasi portafoglio, anche per turisti più facoltosi che se scendono sotto le quattro stelle si sentono come sotto un ponte.
Dai nuovi alberghi ci si aspetta, a conti fatti, un incremento di oltre mille posti letto, quasi il doppio degli attuali. Ma è tutto oro quel che riluce, oltre il ferro che rimane la colonna della nostra economia? Anche perché se non si programmano infrastrutture all’altezza, tipo un centro congressi capace di accogliere migliaia di persone per fiere di settore, concerti e convegni, si ritorna in quella sfera velleitaria e dilettantesca che per anni ha condannato il nostro territorio alla politica dello scontrino e del cono gelato lungolago.
La proposta lanciata dall’ex assessore provinciale Fabio Dadati non solo non sembra peregrina, ma mette sul tavolo un’esigenza reale, una risposta concreta e costruttiva a chi guarda sempre con il collo rovesciato all’indietro, non conosce il rischio ed è campione del menatorrone. Mi ricordo che nel 2010 a Lecco in occasione della conferenza nazionale del turismo, promossa dal ministero tenutasi a Cernobbio, 500 delegati sbarcarono a Lecco in zona pontile ed è rimasta nella memoria la blindatura del centro città voluta dalle autorità per ragioni di sicurezza col risultato che i lecchesi furono esclusi dalla festa e del turismo fecero un nodo sul fazzoletto. Per ricordarsi di dimenticarlo.
Insomma io credo che il turismo abbia bisogno di studiosi e di esperti sul campo perché è una pianta che va coltivata con cura e in una temperie innaturale, come se pretendessimo la fioritura degli agrumi sul lungolago. Certo, il terreno c’è anche perché il ramo comasco è ormai saturo ma non ci giurerei che dopo dieci anni di crescita, la bolla su Lecco non esploda. Né vedo all’orizzonte qualche Signore capace di moltiplicare gli incassi come pani e pesci. Si ha la sensazione di essere a un bivio: da una parte il rischio di trasformarci in una sorta di Disneyland per americani facoltosi, ma dall’altra invivibile per i residenti. Basta suonare a un citofono di Bellagio per ascoltare chi ci vive tutto l’anno e sentir rimbombare più anatemi che inni di gioia.
C’è chi giura sulle Olimpiadi illudendosi che lo strascico sarà come quello delle Regine senza sapere che anche loro, dietro lo sfarzo di quel giorno, nascondono melanconia e consapevolezza che la parabola che le aspetta sarà una prova del fuoco e del focolare senza pause e cariche di grane.
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