Ci sono luoghi in una città che per collocazione e storia assumono una particolare valenza simbolica. Spesso si tratta, come nel caso del Campanile-torre della Basilica di San Nicolò a Lecco, di edifici religiosi capaci di sovrapporsi per pregnanza visiva al contesto in cui sono inseriti, fino a diventarne una sorta di logo identitario. In altri casi sono invece edifici laici che sintetizzano con la loro forza attrattiva il carattere di una comunità nel suo essere e nel suo divenire, spazi che ne hanno scandito e determinato nel tempo la crescita.
Il Teatro della Società, in questo senso, è forse il luogo-simbolo per eccellenza della nostra città, con la sua inconfondibile facciata e con la virtuosa sequenza di palcoscenico, platea, palchi, loggione destinata ad accogliere negli anni voci, le più varie, che hanno voluto parlare di Lecco, con Lecco e per Lecco a un pubblico fiero di poter offrire una cornice di bellezza ideale per la comunicazione e l’ascolto. Non serve fare nomi, e sarebbero tantissimi, ma crediamo non ci sia lecchese a cui quel Teatro in una particolare circostanza non abbia regalato un ricordo indelebile, un’emozione profonda, l’orgoglio di poter dire a posteriori: “Io c’ero”.
Per quanto tempo dunque possiamo privarci di una simile risorsa, senza sentirla come ingiustificata amputazione al nostro desiderio di continuare in questa sede il dialogo con il resto del mondo? Il problema non è quello di una stagione teatrale che può trovare a Lecco validi spazi alternativi, come è stato giustamente osservato. Può sembrare un paradosso, ma la necessità prioritaria non è solo quella di far ripartire il teatro, inteso come attività specifica e prevalente. L’imperativo irrinunciabile è riaprire a breve il Teatro, per tutto quello che culturalmente e socialmente significa. E ogni sforzo va fatto, ogni strada tentata perché questo intervallo di chiusura forzata sia il più limitato possibile.
Se l’edificio, in particolare la volta e il tetto, necessita di interventi, è legittimo predisporsi a una pausa, ma la riapertura non può trasformarsi nella frustrante attesa di un Godot di cui si aspetta indefinitamente l’arrivo. In questo caso, a differenza di quanto è avvenuto in altre occasioni anche nella storia recente della nostra città, ci vuole uno slancio collettivo, al di sopra delle parti o, per dirla teatralmente, del “gioco delle parti”.
Per anni abbiamo pensato che Lecco, una delle realtà ex-industriali più importanti d’Italia, meritasse un Museo dell’Industria. Il sogno nel cassetto, che forse non abbiamo saputo coltivare con la giusta forza, sta per realizzarsi a Brescia, città ex-industriale, che prevede per il 2019 l’apertura in una fabbrica dismessa di un Museo, per valorizzare una storia simile alla nostra. Rimandando qui da noi a tempi più favorevoli la realizzazione di un così lungimirante progetto, concentriamo per ora il nostro impegno nel velocizzare il ripristino di una struttura che contiene insieme memoria e proiezione nel futuro.
La volontà comune e aggregante di contrapporsi a procedure assurde e lentezze burocratiche, il superamento di ogni logica riduttivamente amministrativa o di residui pregiudizi sulla “cultura che non paga”, la determinazione a trovare chi sappia restaurare in tempi adeguati e con le necessarie competenze (il territorio lecchese ne offre ad oltranza) rispondono a una esigenza avvertita da tutti: ridare quanto prima alla “società”, richiamata nell’intitolazione, il luogo-simbolo che le appartiene e che meglio la rappresenta. Il suo, il nostro, Teatro della Società.
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