«Gaza non deve morire»: a Sondrio
sfilano in ottocento per chiedere pace

Una fiumana di donne e uomini “laici” o rappresentanti della cinquantina di associazioni e partiti che hanno aderito all’iniziativa lanciata da AssopacePalestina Valtellina e da Archivio 68 cui hanno detto sì anche amministratori comunali e gruppi consiliari

Sondrio

Ottocento persone, tanti giovani, tanti bambini. Una fiumana di donne e uomini “laici” o rappresentanti della cinquantina di associazioni e partiti che hanno aderito all’iniziativa lanciata da AssopacePalestina Valtellina e da Archivio 68 cui hanno detto sì anche amministratori comunali e gruppi consiliari. In tanti hanno preso parte ieri mattina alla manifestazione provinciale “Gaza non deve morire” organizzata per dare voce all’indignazione per quanto sta accadendo in quel lembo di terra martoriato dove tra bombardamenti, assedi, distruzione di ospedali e scuole, e la difficile distribuzione dei beni primari la popolazione sta morendo, anche di fame. In tanti per far sentire la voce di chi non vuole rimanere indifferente davanti all’escalation di morte unendosi al coro che si sta levando da tanta parte della comunità internazionale.

Un corteo pacifico, cui hanno preso parte anche i rappresentanti della comunità araba- «siamo qui per la pace e la giustizia. Siamo qui per i fratelli palestinesi ma non siamo antisemiti. Non siamo contro gli ebrei» -, che si è snodato dalla stazione di Sondrio fino a piazza Garibaldi e poi alla Garberia scandito dagli slogan per la liberazione della Palestina e accompagnato dal ritmo delle pentole percosse da mestoli e cucchiai, sbattute una contro l’altra, simbolo di quelle rimaste vuote, senza cibo, nella striscia di Gaza dove in un anno i bambini morti sono 14mila, 55mila le persone.

Ad aprire la manifestazione lo striscione sostenuto da quattro ragazzi “Basta uccidere bambini a Gaza e in tutte le guerre”, dietro gli abiti bianchi puntinati di rosso dei partecipanti con fotografie, cartelloni, bandiere palestinesi e arcobaleno, della pace. Lungo il percorso cittadino del sabato mattina molti sguardi curiosi, tanti telefonini a filmare, qualcuno a chiedere perché, qualcun altro a borbottare.

Arrivato al cospetto di Garibaldi il corteo si è sciolto in un semicerchio intorno alla piazza, sul lato ovest per lasciare spazio alla rappresentazione plastica della morte a Gaza: donne, uomini, bambini vestiti di bianco si sono accasciati a terra, uno dopo l’altro stesi dal fuoco delle armi e dalla fame. Su di loro i versi dei poeti di Gaza tratti dal libro “Il loro grido è la mia voce” (ogni copia venduta devolve 5 euro a Emergency). E poi dopo un silenzio carico di emozione, il grido liberatorio “Gaza esiste, Gaza resiste” cui è seguito un lungo, lunghissimo applauso.

Il corteo si è poi nuovamente incamminato verso la Garberia dove ci sono stati i discorsi “ufficiali”. In chiusura le parole delle associazioni del mondo cattolico: Agesci, Azione cattolica, Caritas provinciale e Valchiavenna e Acli. «Siamo in piazza per urlare la pace, con tutta l’urgenza che questo momento storico ci impone – ha detto Michele Rapella delle Acli -. La nostra presenza è un gesto politico: vogliamo contrastare populismi e sovranismi che alimentano chiusura, egoismi e paure. Condanniamo, come sempre, le stragi del 7 ottobre e il sequestro degli ostaggi. Ma oggi non possiamo più restare equidistanti: siamo testimoni di una risposta feroce, premeditata, che assume le forme di un genocidio. Condanniamo l’azione militare del governo e dell’esercito israeliano, non il popolo ebraico. Condanniamo ogni estremismo religioso che usa Dio per giustificare la violenza. Dobbiamo gridarlo: in nessuna religione è consentito uccidere il fratello. Mai. Ribadiamo la condanna del governo di Netanyahu che, tradendo la memoria delle vittime dell’Olocausto, perseguita sistematicamente il popolo palestinese. Gaza è oggi affamata da una violenza disumana, e non possiamo tacere. La pace è l’unica via possibile. È già accaduto in Europa, ottant’anni fa. E oggi tocca ancora all’Europa farsi portavoce di una diplomazia forte, capace di riaffermare la sacralità dei diritti e l’inviolabilità dei popoli. Perché non esiste bene più prezioso della pace».

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