Giuseppe Moioli, un ricordo speciale

La testimonianza di Marco Corti: «Gli incontri con l’atleta di Mandello non erano mai scontati. Ogni volta c’era qualcosa di nuovo da raccontare, di spassoso, per una vita dedicata interamente al canottaggio e al lavoro della terra da buon figlio di contadini nella sua Olcio»

Lecco

Gli incontri con Giuseppe Moioli non erano mai scontati. Ogni volta c’era qualcosa di nuovo da raccontare, di spassoso, per una vita dedicata interamente al canottaggio e al lavoro della terra da buon figlio di contadini nella sua Olcio. Così ci facemmo una risata quando mi raccontò che all’alba dei novant’anni cadde da un ulivo che stava potando proprio a Olcio e rimase “fortunatamente” appeso per i pantaloni a un ramo e fu salvato. Oppure, sfogliando l’album dei ricordi, quando nella parata a Mandello di ritorno con l’oro delle Olimpiadi di Londra del ’48, finì in una siepe con il “Guzzino 65” regalatogli per l’occasione come premio dalla casa dell’aquila: «Io sapevo a malapena andare in bicicletta…» si giustificò. O ancora, raccontando della fame patita proprio alle Olimpiadi del ’48 a Henley, sul Tamigi ma lontano dalla capitale: «Per fortuna da Mandello arrivò un nostro amico con due polli e facemmo un pranzo da re per l’oro olimpico e per il mio compleanno. Loro più che gallette non ci davano…».

E si potrebbe continuare all’infinito perché Giuseppe Moioli è la leggenda immortale del canottaggio italiano e non solo per successi ottenuti da atleta – un oro alle Olimpiadi, sei titoli europei e una valanga di titoli tricolori – ma anche per la sua grande capacità poi di trasferire i valori dello sport e della voga a quelli che sarebbero diventati grandi campioni, nel suo ruolo di tecnico alla Canottieri Moto Guzzi, la sua società da sempre. Basti citare i nomi di Piero Poli oro a Seul, Carlo Gaddi, Franco Zucchi, i fratelli Carlo e Nicolò Mornati, Martino Goretti, Matteo Pinca, Marcello Nicoletti, Nico e Fabio Cantoni, Umberto Scola e ora anche l’astro nascente Andrea Panizza.

La Canottieri Guzzi era la sua seconda, o forse prima, casa: «Varcai la soglia della Canottieri Moto Guzzi nell’aprile del 1944, non avevo ancora diciassette anni – ci raccontò Moioli per i suoi 90 anni -. Fu Franco Faggi (uno dei quattro con Elio Morille, Giovanni Invernizzi e Moioli capovoga oro con il “quattro senza” a Londra ‘48) a convincermi. Noi eravamo una famiglia di contadini e io lavoravo un terreno dei Faggi ad Olcio e i miei colpi di vanga avevano attirato Franco. Mi disse “Con quella forza che hai nella braccia potresti diventare un grande canottiere”. Ma io con sapevo neppure come fosse una barca da regata. Le uniche barche che conoscevo erano i “comballi” che giungevano al porto di Olcio e che portavano le pietre di Moltrasio per costruire le case e noi ragazzi, per guadagnare qualche soldo, le trasportavamo a mano dalle barche a riva».

Mani ruvide e callose, sguardo che ti inteneriva solo ad incrociarlo, era un piacere ascoltare Moioli con quel suo linguaggio diretto di poche parole (alcune anche in dialetto) ma sempre dritte nel segno, capaci di arrivare nel posto gusto: il cuore e i muscoli. Caratteristiche uniche di una figura straordinaria, un misto tra semplicità e saggezza di cui tanto abbiamo bisogno in questi anni difficili.

Ma non solo remo. «Produco olio d’oliva e sono arrivato ad imbottigliarne anche 120 litri – ci raccontò anni fa -. Il vino? Sì, faccio anche del rosso ma poca cosa. Poi ho anche la casa da mandare avanti essendo solo e qualche volta combino qualche pasticcio. L’altro giorno ho messo sul fuoco un pollo a bollire. Poi sono andato in bicicletta in Canottieri per allenare delle ragazze e mi sono dimenticato del pollo. Non vi dico quando sono tornato… Ho rischiato di mandare a fuoco tutto». Impareggiabile Moioli, ci mancherai pur sapendo che i tuoi insegnamenti saranno un patrimonio indelebile nel tempo.

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