tutti parlano di crisi, di magro Natale, di negozi vuoti o visitati di sfuggita senza poi perfezionare acquisti, ma scorrendo le pagine dei magazine e delle riviste femminili, mi colpisce la continua, martellante, pubblicità di marche di orologi, tutte ovviamente adatte a portafogli capienti e spensierati.
Oggetti da decine di migliaia di euro, capolavori di oreficeria che sicuramente sono venduti e in gran copia, dimostrando una volta di più una tesi estremamente “elastica” a proposito della crisi economica.
Ma un'altra riflessione sorge spontanea di fronte ai complicati meccanismi degli orologi in questione - ogni giorno, naturalmente, chi li indossa osserva le fasi lunari, si immerge per centinaia di metri, prova continuamente i suoi “tempi” sui cento metri piani - quella sull'ossessione per lo scorrere del tempo e del tenere ogni cosa sotto controllo, fino al più infinitesimale particolare che segna la nostra giornata. Una “malattia” tipica della nostra epoca, nevrotica e ritmata dalla volontà delle macchine.
Saverio Carlini
Lecco
Caro Carlini,
il celebre “time is money” non è mai stato così d'attualità, anche per ciò che lei sostiene nella sua lettera. Il tempo si trasforma in denaro e investimento nel contempo, ma anche in qualcosa da esibire, quasi una sfida a dare un diverso valore allo scorrere di minuti e secondi rispetto a quello delle persone normali, che al massimo si permettono un semplice swatch.
Il tempo è uno dei totem della nostra “way of life”, imperniata sulla frenesia e il consumo veloce di ogni cosa, dalla moda al cibo, dalla comunicazione al viaggiare. Così, chi può permetterselo, lo esibisce al polso come un oggetto di lusso: qualcosa di inafferrabile che la nostra supponenza si illude di poter trasformare in gioiello.
Vittorio Colombo
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