Impresa in Patagonia per gli alpinisti Della Bordella e Majori

Realizzata la prima invernale della via Casarotto sul Pilastro Goretta del Fitz Roy, una sfida incredibile che ha visto protagonisti i due alpinisti

Un’impresa senza precedenti è stata compiuta in Patagonia dal Ragno di Lecco Matteo Della Bordella e dalla guida alpina di Bormio Marco Majori. I due alpinisti hanno realizzato la prima salita invernale della via Casarotto sul Pilastro Goretta del Fitz Roy, 3405 metri, affrontando una delle sfide più dure e simboliche della storia dell’alpinismo.

La spedizione, supportata dal Cai, era partita a inizio agosto insieme a Tommaso Lamantia con l’obiettivo di ripercorrere in inverno la linea aperta nel gennaio 1979 da Renato Casarotto, leggendario alpinista vicentino. La via, lunga oltre 1500 metri, con difficoltà fino al VII grado e passaggi in artificiale, resta una delle più severe e raramente ripetute dell’intero massiccio patagonico.

Casarotto, scomparso nel 1986 sul K2 durante la discesa dalla “Magic Line”, fu tra i più grandi alpinisti della sua generazione, capace di firmare prime solitarie e invernali memorabili, dal Diedro Cozzolino del Mangart alla parete est delle Grandes Jorasses, fino alle imprese extraeuropee come lo spigolo nord del Broad Peak. Il Pilastro Goretta, salito in solitaria nel 1979, rappresenta tuttora la sua eredità più visionaria in Patagonia.

”Già nei primi giorni, con Tommy, avevamo fatto un bellissimo tentativo, e solo quello sarebbe valso la spedizione” racconta Della Bordella. “In inverno ci si sente minuscoli di fronte a queste montagne immense: freddo intenso, giornate corte, finestre di bel tempo che non arrivano. Ma la determinazione ha pagato. Abbiamo ripercorso le orme di Casarotto nello stile che lui amava, con la metà del tempo per scalare e temperature che scendevano a –20 gradi. È stata una sfida incredibile”.

Per Majori questa ascensione ha avuto un significato speciale, legato a un ricordo familiare: “Da ragazzino avevo in casa una foto di Casarotto scattata da mio padre in Patagonia: lo si vedeva piccolissimo su quella parete immensa. Quel sogno è diventato realtà. E per me è stato anche un riscatto, dopo l’incidente al K2 dello scorso anno. Non ero al massimo della forma, ma questa salita è stata una vera terapia d’urto. Mi ha rilanciato esattamente da dove avevo lasciato”.

È stata così scritta una nuova pagina dell’alpinismo mondiale, con la prima invernale di una via che resta un monumento alla tenacia e al coraggio.

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