Italiani, popolo imprevedibile che si piace

Ogni tanto nel nostro paese ritorna la solfa sulla “crisi della politica”. Dissentiamo risolutamente: in Italia la politica è sempre stata in crisi. Per una ragione semplicissima, quella che Longanesi sintetizzava con la celebre battuta “Sulla bandiera italiana dovrebbe esserci scritto “Tengo famiglia”.

Siamo un popolo strano, noi italiani. Abbiamo la fama di essere socievoli e arguti, ma siamo incapaci di vivere perfino in condominio. Figurarsi la polis. Infatti siamo molto social ma sempre meno inclini alla socievolezza e, ancor meno, alla socialità. A volte ci assale il sospetto che non siamo mai stati neppure un popolo. Un coacervo di invasori e di culture ha creato una figura spuria di popolo a tratti geniale ma troppo spesso sgangherato: come disse Goethe, l’Italia è un paradiso abitato da diavoli.

Qualche anno fa, un intellettuale italo-americano, La Palombara, scrisse che il sistema italiano ha del miracoloso perché, malgrado le frequenti liti di governo, in modo misterioso l’economia è sempre andata avanti da sola. In verità, l’unica cosa che vogliamo dalla politica è che ci lasci fare da soli. Si tratta di una singolare versione del “laissez faire” per cui lo Stato è una greppia generosa a cui rivolgersi in caso di bisogno (vedi la pandemia). Non è vero che abbiamo scarso senso dell’interesse generale o scarso senso dello Stato: semplicemente, non li abbiamo mai avuti. Siamo malati di “familismo amorale”, come disse negli anni ’50 Banfield, il quale, senza tante cerimonie, sentenziò che per l’italiano la famiglia resta la massima espressione di statualità.

Oggi non siamo cambiati molto, come si può vedere in Parlamento: all’opposizione, vediamo mariti con le mogli; al governo, sorelle con i cognati. Naturalmente, con il solito codazzo di amici e ciambellani. C’è poco da fare, agli italiani lo Stato piace poco anche se con la nascita dell’Ue ora ci piace un po’ di più. Francesi e tedeschi ci hanno detto, papale papale, che se crediamo all’Europa dobbiamo accettarne le regole. Pensavamo fosse uno scherzo e invece facevano sul serio. Per i tedeschi “schuld” significa debito, ma anche colpa, per gli italiani il debito non è mai una colpa perché vale la regola “tutti colpevoli, tutti assolti”. Alla fine, la fobia montante per l’Europa è solo disprezzo delle regole. I furbi lo chiamano sovranismo, elegante neologismo che appare più mite e meno spaventevole di nazionalismo. Si levano miasmi che fanno pensare ad una voglia irrefrenabile di autocrazia. Siamo alla riedizione dei classici: il trumpismo come prosecuzione dell’autoritarismo con altri mezzi.

La verità è che siamo anarcoidi e recalcitranti alle regole. Siamo rimasti bambini disobbedienti che non vogliono capire gli oneri della democrazia. Ci professiamo democratici senza aver mai letto la Costituzione, ci diciamo cattolici ma ignoriamo le Sacre Scritture. Ci manca, purtroppo, una borghesia illuminata al posto della quale noi abbiamo solo una minuscola borghesia “lampadata”. Da decenni si sente dire che “non si può andare avanti così”. Sono giaculatorie che ci accompagnano dall’infanzia, come quella sui giovani che non hanno voglia di lavorare, che l’evasione fiscale è colpa dello Stato, che non c’è crisi perché i ristoranti sono pieni. Ci piace piangerci addosso ma sappiamo anche essere magnanimi. All’improvviso diamo prova di grande generosità ed altruismo ma non è vero che la “società civile” sia migliore dei politici perché sono i governati a partorire i governanti.

Ammettiamolo, siamo un popolo pieno di contraddizioni. Perfino Churchill se la rideva pensando agli italiani. Si dice che quando si recò a Coventry, appena rasa al suolo dai tedeschi, vide in un angolo un negozio con la scritta “business as usual”, si lavora come sempre. Churchill impettì d’orgoglio e, rivolgendosi ai presenti, esclamò: “Ecco un esempio della grandezza del nostro popolo”. Si avvicinò, vi fece ingresso e scoprì che si trattava di un barbiere napoletano! Ecco, noi siamo fatti così. Siamo un popolo matto ed imprevedibile, per molti versi perfino inaffidabile. Il guaio è che ci piacciamo.

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