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Martedì 21 Aprile 2009
La Réunion, tour mozzafiato nell’isola selvaggiafra vulcani sornioni, caccia ai marlin e cascate
Il Gigante Buono si risveglia. Il Piton de la Fournaise, il vulcano dell’isola di La Réunion, uno dei più attivi del Mondo, dà un’improvvisa scrollata. Lo spettacolo è di quelli da non perdere. Anche perché, a memoria d’uomo, il Piton non è mai stato cattivo. Anzi, quasi mai ha dato fastidio a qualcuno. Si accontenta infatti, ogni tanto, di mandare in scena un fantasmagorico show ricco di strabilianti giochi pirotecnici. E si limita a scaricare in mare ondate di lava, destinate in seguito a diventare scogliere nere, a picco sull’oceano Indiano. Nel 1998 si era arrestato a 5 metri dall’unica strada a sud-ovest e, nel 1977 a Piton-Sainte-Rose, aveva invece miracolosamente risparmiato la chiesetta di Notre-Dame-des-Laves. I turisti stranieri accorrono a frotte, mentre i locali seguono, ma senza la minima apprensione, le bizze del Piton alla televisione, alla radio o su Internet. Oppure, vanno a godersi la colata a Bois-Blanc e a Tremblet, là dove si getta in mare. Le Dauphin, il bianco elicottero dell’Heli Réunion, si alza da Saint-Gilles-les-Bains e punta verso sud-est, in direzione della grande bocca del vulcano (2.631 metri d’altezza). Dall’alto, l’isola, che a tutti gli effetti è Francia essendo un Dom (Dipartimento d’Oltremare), si rivela subito per quello che è: un autentico Eden, difficilmente paragonabile. Il che porta facilmente a pensare che, un tempo, il Paradiso terrestre doveva essere pressappoco così. L’isola di La Réunion non ha comunque nulla da spartire con gli altri luoghi al sole dei Tropici. E forse non dà neppure quelle suggestioni tipiche che, al contrario, evocano invece le altre isole più o meno a queste latitudini, come ad esempio la vicina Mauritius. Niente specchi d’acqua turchese chiusi da barriere coralline e poche spiagge di sabbia candida (il resto è nera e vulcanica), ombreggiate dai caratteristici cocotier. La Réunion è un luogo dalle emozioni forti, fosse solo perché qui si praticano tutti gli sport estremi. In mare, fanno infine furore il surf, la vela, la pesca subacquea e soprattutto quella d’altura (péche au gros), ossia la caccia ai marlin e bonites di oltre 200 chilogrammi.
L’elicottero, mentre taglia l’isola da nord a sud-ovest, si infila in uno scuro canyon, altrimenti inaccessibile, si impenna e sembra galleggiare a mezz’aria. Davanti, si alzano in verticale paurosi picchi, punte ardite ricoperte di verde intenso o di sola roccia, piramidi aguzze e protuberanze goffe e arrotondate. Lo spettacolo è mozzafiato e da vertigine. Da alcune fenditure, precipitano cascate di acqua cristallina, che sul fondo vanno a creare laghi di smeraldo. E sono il luogo preferito di arditi scalatori.
L’isola è diversa, eccezionale: 2.512 chilometri quadrati, tracciati per lo più in verticale, dove tre quarti del tempo libero non ha niente di marinaro e viene passato in interminabili randonnées (camminate), che fanno assomigliare questo luogo più a un paese delle Alpi che a uno infilato nel bel mezzo dell’oceano Indiano. Sull’isola, non esistono incredibilmente animali feroci, pericolosi o velenosi, zanzare, mosche, pulci, topi e virus di malattie tropicali. «L’aria è così buona che, dopo 20 anni che quest’isola è abitata, nessuno è morto né si è ammalato», scriveva nel lontano 1667, visibilmente sorpreso, il viaggiatore Jacques Ruelle.
La Réunion era nata 3 milioni di anni fa, ma non dal Gigante Buono, bensì dal Piton des Nieges (3.069 metri), oggi spento. Dell’antico cratere, rimangono il Cirque di Mafate, Salazie e Cilaos. Il Piton de la Fournaise ha 3 profondi colatoi naturali: Rivière des Remparts, Ravine du Piton Ronde e Riviére de l’Est, dove la lava si raccoglie per poi scivolare giù verso il basso e verso il mare. Le sue pendici sono nerastre e striate di viola, rosso, grigio, verde, giallo e blu. Sotto la bocca del vulcano, si sono aperte ferite, dove la lava rosso fuoco ribolle come in un crogiolo da fonderia. Soprattutto là dove essa si è inspessita, diventando rugosa, ha creato spaccature, dalle quali spesso spunta un ciuffo di ginestra, oppure si sprigiona un tenue vapore bianco. Quasi in cima al pendio, ai margini di un fiume di lava che scorre rapido e incandescente, si scorge la sagoma argentea di un uomo, rinchiuso in uno scafandro che lo fa assomigliare a un’astronauta.
E’ Nicolas Villeneuve, dell’Osservatorio di Vulcanologia di Réunion. «Non è necessario essere coraggiosi per andare sino lì a prelevare assaggi di lava a 1.150 gradi di calore, per poi studiarne la composizione e prevedere così le prossime mosse del vulcano. Occorre invece una grande conoscenza dei luoghi», spiega. I vulcanologi di La Réunion sono famosi in tutto il Mondo. Due crateri di recente formazione sono stati battezzati con i nomi di Maurice e Katia Kraft, una coppia di ricercatori che aveva studiato tutti i vulcani del pianeta e che, dal 1970, non aveva mai perso un’eruzione del Gigante Buono.
Il 9 marzo 1998 entrambi sono rimasti vittime della loro passione, traditi dal vulcano Unzen (Giappone). A loro si deve comunque la realizzazione della Maison du Volcan, a Bourg-Mourat, un interessantissimo museo. Alla Plaine des Sable, 2.360 metri d’altezza, il paesaggio è lunare, aspro e grandioso, nato da eruzioni millenarie. Steso sino alle pendici del Piton de la Fournaise, appare come un deserto grigio e marrone fatto di piccole pietre. I crateri Bory e Dolomieu (quest’utimo dedicato a Dieudonné Granet de Dolomieu, il geologo che ha dato il nome alle nostre Dolomiti) assomigliano all’inferno ribollente di Gustavo Doré.
Ma, lo spettacolo è ancora più fantastico la notte, quando queste bocche spalancate del Gigante Buono si accendono con un chiarore dal fascino terrificante. L’elicottero gira in tondo sull’isola. E tornano così alla mente alcuni versi di Au une malabaraise, capolavoro d’amore e di esotismo di Charles Baudelaire, rimasto stregato dalle bellezze del luogo e dal sorriso di una giovane meticcia. La vegetazione è ovunque strana. In certe vallette, nelle quali sbuca improvvisamente l’elicottero, facendo ondeggiare il verde intorno a sé, dà l’impressione di trovarsi in Svizzera. A Plain des Cafres, qualche vacca (sicuramente non pazza) bruca l’erba di prati curatissimi. Ma, ecco qualcosa che non quadra in questo paesaggio alpino: qualche palma che spunta qui e là, così come quei sorprendenti angoli esotici ricchi di orchidee, flamboyant, hibiscus, bugainvillee e mimose, che accendono il verde di pini, aceri, acacie e jaracande.
L’esuberanza della vegetazione dell’isola di Réunion gode di una fama leggendaria. «E pensare che è tutta arrivata dal cielo - racconta la ricercatrice Catherine Lavaux -. Su una lava placata, in lenta decomposizione, grani trasportati dal mare, dal vento e dagli uccelli e partiti dall’Africa, dall’Asia e dall’Australia, hanno fatto nascere prima licheni e muschi e poi felci e brughiere. In seguito, boschi preziosi hanno ricoperto le pendenza del cataclisma di una lussureggiante foresta tropicale».
Oggi, Réunion vanta piante endemiche (il 60 per cento dell’intera vegetazione), che non si trovano da nessun’altra parte del Mondo. Tra queste: il bois de chandelle, dal tronco dritto, fine e flessibile e il bois de senteur, bianco e blu. Con quest’ultime 2, i locali sono soliti conversare. Ma, mentre il primo sembra risolvere ogni problema di salute, amore o finanziario, il secondo serve solo per mettere agli altri il malocchio. Poi, ci sono il possente bois de fer alto sino a 20 metri, che produce frutti carnosi somiglianti a mele; l’arbre étrangleur (albero strangolatore, ma solo nei confronti delle altre piante); il vavangue, che per 8 mesi l’anno dà il frutto della miseria, che tutti possono cogliere; il preistorico fanjan, dalle chiome arborescenti; e il sagoutier, le cui foglie beneauguranti sono adoperate per allietare matrimoni e feste.
Dall’elicottero, si scorgono anche vaste distese di canna da zucchero, dalla quale, per distillazione, si ricaverà poi il rum. E, intorno ai villaggi hauts dalle casette a punta, dove vivono alcune, comunità montanare bretoni, coltivazioni di spezie. A Gran Coude, si notano invece preziose culture di geranio (occorrono 300 chilogrammi di fiori per estrarre 1 solo chilogrammo di essenza géranium de Bourbon). E poi, ovunque, campi inondati da piccole piante di ananas Victoria, il re dei frutti tropicali. A Saint-André, spiccano infine le piantagioni di vaniglia. Frutto profumatissimo dell’unica orchidea commestibile, quello de La Réunion è considerato il migliore del Mondo.
Réunion è anche un crogiolo di razze, ma non esistono né razzismo, né tensioni. Convivono infatti in buona armonia creoli, nati nell’isola da pionieri francesi e malgasci; cafri o africani, discendenti dagli schiavi, un tempo portati dall’Africa; malabars, tamil non musulmani arrivati nel secolo scorso, per impiegarsi come tagliatori di canna da zucchero; malgasci; comoriens, che costituiscono l’immigrazione più recente dalle vicine Comore; e z’oreilles (duri d’orecchio), ossia francesi che mal comprendono il dialetto creolo e le usanze locali, oggi chiamati meno sprezzantemente métros (metropolitani). La Réunion, isola dalle sensazioni intense. Sicuramente, scalare montagne a Salazie o a Plaine des Palmistes, arrampicarsi su per le cascate di Takamaka e Trou de Fer, fare rafting oppure scendere in canoa lungo impetuosi corsi d’acqua o ancora girare in mountain bike, a cavallo o con una 4 per 4 lungo per impervi sentieri, o provare l’emozione del parapendio o del deltaplano, possono essere attività inconsuete, se fatte ai Tropici. Ma tutto qui è un po’ speciale. Anche la vita di mare, che è in tono minore: sabbie dorate a Saint-Gilles-les-Bains e Saint-Leu (classificata la quarta più in voga del mondo per il surf) e nere a Saint-Paul. Ovunque, sfiziosi e alberghetti, per lo più sistemati in bianchi edifici di stile coloniale, appaiono immancabilmente immersi in una lussureggiante vegetazione. I ristoranti, sempre accoglienti, propongono invece sia menu semplici che raffinati, in un sapiente mixage di cucina creola, francese e indiana.
A Saint-Gilles-Les-Bains, il mitico Hotel Boucan Canot, propone, tra l’altro, un carri de langouste (aragosta in salsa piccante). A Salazie, nel rustico P’tit Bambou, Dominique Grondin serve invece un altrettanto sublime pollo al chou chou. Impagabile è infine un distensivo pomeriggio trascorso alla Maison Folio, a Hell Bourg, in una vecchia casa coloniale in legno. Mentre, con grazia Michéle offre un rum arangée, ottenuto con un fantastico mixage delle erbe più strane, monsieur Folio conduce a passeggio i visitatori nel proprio esuberante giardino tropicale, ricco di centinaia di varietà di piante esotiche, anche rarissime. Intorno, si avverte un intenso profumo di curcuma, citronella e patchouli. E, volendo, un enorme (ma innocuo) ragno può essere tenuto in mano o messo a camminare su un braccio. Sancendo così ancora una volta che, quella di La Réunion, è un’isola diversa da tutte le altre.
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