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Lunedì 26 Ottobre 2009
    Samuele Bersani in gran forma
nel suo <Manifesto abusivo>
    
             “Manifesto abusivo” è l’opera numero sette di Bersani, tre anni dopo 
“L’aldiquà” mentre l’ultimo avvistamento si era avuto per il 
decennale della morte di De André, quando aveva cantato “Il 
bombarolo” nello speciale di Fabio Fazio (quella cover è 
considerata una traccia aggiuntiva ed è reperibile solo su 
iTunes)
        
COMO Ai tempi di “Chicco e Spillo” non era facile pronosticare un 
lungo avvenire per Samuele Bersani. Prima si doveva 
capire se si trattava di un cantautore o di uno stellino del 
pop, distinzione che oggi può sembrare desueta, 
fondamentalmente inutile, eppure per tanto tempo ha avuto 
una sua importanza e determinava anche la carriera di un 
artista. Perché il “cantautore” propriamente detto, quello che 
deve per definizione dare poca importanza alla musica e più 
al testo, quello che deve affrontare “temi alti”, quello che 
deve realizzare dischi senza mai tenere conto del mercato 
piace alla critica, ha un seguito di irriducibili sempre meno 
numerosi (e prima o poi le case discografiche lo scaricano: 
per un De Gregori che ce l’ha fatta ci sono cento Muro 
Pelosi caduti nel dimenticatoio dopo due o tre album). La 
popstar, invece, fa musica per soldi, cerca di accontentare il 
pubblico più generalista possibile, canta, novantanove volte 
su cento, d’amore, è sempre orecchiabile, talvolta 
danzereccio. E “Chicco e Spillo” si poteva tranquillamente 
fischiettare, come “Freak” e il suo “progetto di esportare la 
piadina romagnola” che si dimostra, con il senno di poi, 
lungimirante. E anche chi pensava che questo ragazzo 
riminese fosse un talento e non un fenomeno passeggero 
ci aveva visto giusto: era un “cantautore pop” come ce ne 
sono tanti, oggi. Non tutti, però, sono capaci di scrivere 
canzoni come “Giudizi universali” (una perla della storia 
della musica italiana, nella stessa categoria de “La donna 
cannone” e “Caruso”), non tutti sono in grado di realizzare 
dischi con regolarità senza perdere l’ispirazione. “Manifesto 
abusivo” è l’opera numero sette di Bersani, tre anni dopo 
“L’aldiquà” mentre l’ultimo avvistamento si era avuto per il 
decennale della morte di De André, quando aveva cantato “Il 
bombarolo” nello speciale di Fabio Fazio (quella cover è 
considerata una traccia aggiuntiva ed è reperibile solo su 
iTunes). È un album maturo, si intuisce dalle prime note 
dell’iniziale “Un periodo pieno di sorprese”, un pezzo 
d’atmosfera, dimesso al punto giusto visto che il testo 
descrive il fallimento di un amore. Piacciono la denuncia 
ironica delle paradossali sconcezze del mondo di “Pesce 
d’aprile” (“Oggi un albergo ad Alcatraz, domani un ostello a 
Guantanamo, le villette degli orrori in bed & breakfast e su 
Erode un bel parco tematico”), l’ode “post gucciniana” “A 
Bologna”, una “Anche Robinson Crusoe” musicalmente 
felice, senz’altro più di “Ferragosto”, versione personale di 
un brano musicato da Sergio Cammariere (su testo di 
Samuele) già presente nell’album “Sul sentiero”. Si 
esagera un po’, dal punto di vista musicale, proprio con 
“Manifesto abusivo”, così estrosa da risultare, alla fine, 
stucchevole come non accade alle “normali” “Valzer nello 
spazio” e “Fuori dal tuo riparo”. E veniamo alle perle: “Lato 
proibito” dove memoria personale diventa collettiva senza 
troppa retorica e molta ironia (“Estate povera di ogni cosa, 
due settimane buone senza avere la tivù, la casa al mare, la 
cassetta di Battiato difettosa a metà di Cuccuruccucù”), 
“Ragno”, divertissement jazzato in romanesco firmato 
dall’attore Angelo Conte che interviene nel ruolo 
dell’aracnide e, giusto sul finale, un brano stupendo, per 
testo e per costruzione, “16:9” (da intendersi come “sedici 
noni”), con l’intervento della Vu Orchestra. Disco dal tono 
notturno e dai colori autunnali, “Manifesto abusivo” è una 
conferma che Bersani è una certezza.
Alessio Brunialti
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