Adesso è il turno del Sud America. Donald Trump intende «rimettere ordine» nel suo «cortile di casa». Da troppo tempo si osservano smarcamenti eccessivi nei confronti della linea politica della Casa bianca e un’influenza cinese fuori controllo. La lotta al narcotraffico è la scusa utilizzata per lanciare la nuova «dottrina Monroe» alla Trump. Così l’autocrate venezuelano Nicolás Maduro è descritto come il capo di un cartello di criminali e le autorità Usa chiedono pubblicamente «informazioni che portino alla sua cattura»: 25 milioni di dollari è la taglia per la sua consegna a Washington. L’aspetto meno folkloristico è che un tale concentramento di navi da guerra statunitensi non lo si osservava nei Caraibi dalla crisi dei missili sovietici a Cuba nel 1962.
In queste ore febbrili sorgono due domande. La prima: Donald Trump si appresta a dare l’ordine ai suoi marines di sbarcare sulle spiagge venezuelane? La seconda: come reagiranno Cina e Russia, a cui il «lìder de la República Bolivariana» ha chiesto aiuto? Ricordiamo oggi, con un filo di delusione, l’estate 2024, quando uno dei grandi corrispondenti dal Sud America raccontava l’atmosfera da «fine regime» che si respirava a Caracas durante la campagna elettorale. Peccato, pensavamo noi allora che - seguendo l’esempio di Aleksandr Lukashenko in Bielorussia - Maduro non se ne sarebbe andato, nonostante la sconfitta alle elezioni presidenziali. E così è stato. In certi Paesi chi controlla i cosiddetti «ministeri della Forza» (ossia Difesa, Interni e Servizi segreti) fa quello che vuole. L’importante è che la Commissione elettorale conti i voti come conviene. A Minsk nel 2020 le schede elettorali vennero bruciate a distanza di una settimana dalla consultazione, a Caracas non è servito.
Ricchissimo di materie prime, il Venezuela ha battuto tutti i record immaginabili in materia di iperinflazione tra il 2014 ed il 2024. Le politiche socialiste-bolivariane hanno provocato anche un’elevata disoccupazione, diseguaglianze sociali spaventose e una corruzione endemica. Risultato: milioni di persone sono state costrette ad emigrare per sopravvivere. A parte nei Paesi vicini del Sud America, solo negli Stati Uniti vivono oggi oltre un milione di venezuelani, molti dei quali hanno chiesto asilo politico: Trump vorrebbe rimandarli a casa loro, una volta disfattosi di Maduro.
Ma come far cadere il regime? Il primo step (poi si vedrà) pare essere la dimostrazione di muscoli dall’esterno, con la speranza che lo «zoccolo duro» (i «ministeri della Forza»), che tiene al potere il «líder bolivariano», si sbricioli. Pensare di dare l’assalto con le armi ad uno Stato sovrano non è solo una palese violazione del diritto internazionale ma è anche un rischio militare enorme in caso di resistenza dei sostenitori di Maduro. Come è già successo durante la breve guerra tra Israele ed Iran - poi nel corso del successivo bombardamento dei siti nucleari degli ayatollah da parte degli Usa - Cina e Russia si terranno alla larga da uno scontro in un’altra regione del mondo, così lontana dai propri confini.
L’altro elemento da non sottovalutare è che Trump ha bisogno ora del petrolio venezuelano per rifornire la Cina e bloccare di conseguenza l’export dell’«oro nero» russo attraverso l’India. Al presidente Usa è stato spiegato che, per non far decollare a livello internazionale il prezzo del greggio (una delle cause dell’alta inflazione in casa sua), Washington deve scegliere a chi alleggerire le sanzioni. Nella lista: Venezuela, Iran e Russia. Trump sembra aver preso un’altra strada.
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