Quarant’anni dalla tragedia allo stadio Heysel di Bruxelles. Le testimonianze di lecchesi e valtellinesi: «Mai più in uno stadio»

Quarant’anni fa la tragedia a Bruxelles, poco prima della finale di Coppa Campioni fra Juve e Liverpool. Il racconto di chi c’era quella sera: «Eravamo bloccati: sopra i cancelli chiusi e sul fianco gli inglesi che spingevano»

Lecco e Sondrio

Quarant’anni fa, mercoledì 29 maggio1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra le formazioni di Juventus ed il Liverpool, accadde una tragedia senza precedenti in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e rimasero feriti oltre seicento tifosi.

Le testimonianze lecchesi

Tra i lecchesi presenti c’era Giovanni Panzeri, panettiere di Villa San Carlo (Valgreghentino). In quel 1985 aveva 27 anni ed era nella capitale belga per tifare la sua squadra del cuore e non certo per assistere ad un dramma terribile.

«Anche solo a pensare a quella partita – ci aveva detto in una precedente intervista, nel ricordare quei momenti - mi viene la pelle d’oca ed io, da quel giorno, non ho più messo piede in uno stadio, neanche nei campetti dell’oratorio. Continuo ad essere juventino, ma guardo le partite in televisione». Per giunta quarant’anni fa la sua presenza all’Heysel fu abbastanza casuale: «Non ero uno che andava spesso allo stadio, solo che in quell’occasione avevamo avuto l’opportunità di avere i biglietti per Bruxelles e in otto amici siamo partiti. Era il pretesto per fare un paio di giorni di ferie e vederci una finale di Coppa Campioni. Ironia vuole, che mi rifiutai di andare in aereo perché non mi sentivo sicuro; prendemmo il treno e poi allo stadio successe il finimondo».

Nonostante il dramma, all’Heysel la partita venne poi giocata, ma per Giovanni Panzeri è un dettaglio senza importanza: «Noi fummo fatti uscire dallo stadio e tutti e otto ce ne tornammo in stazione, la partita non la vedemmo. Del resto, per me quella non è una coppa di cui vantarsi; diciamo che è dovuta a chi ci ha lasciato la vita. Devo solo dire che sono stato molto fortunato. Se penso che per una partita di pallone, pur molto importante, sono morte 39 persone e ne rimasero ferite 600, mi vengono i brividi. E il dramma è che la violenza negli stadi continua ad esserci. Per questo io le partite le guardo seduto sul mio divano di casa».

Panzeri si trovò in mezzo al caos e furono momenti drammatici, che mai saranno cancellati dalla sua memoria: «Tanto per cominciare va detto che c’era il divieto di vendere alcolici, ma già fuori dallo stadio c’erano migliaia di inglesi ubriachi. Quindi, tutto è cominciato alla fine di una partitella tra ragazzini che si svolse alle 16.30. Noi eravamo divisi dai tifosi inglesi da una semplice rete, tipo quella dei pollai, e di forze dell’ordine ce n’erano pochissime. Gli ultras del Liverpool cominciarono a spingere contro la rete in ondate successive. Loro spingevano e noi ci ritiravamo verso il centro degli spalti; quelli probabilmente volevano provocarci, ma noi non eravamo ultras e cercavamo di allontanarci. Era come un’onda che urtava contro gli scogli e noi sembravamo una specie di fisarmonica. Tutto questo è durato sinché è crollato il muro e la gente è rimasta sotto».

Immagini terribili

Momenti che Giovanni Panzeri ricorda bene: «Eravamo bloccati, - conclude - sopra i cancelli chiusi e sul fianco gli inglesi che continuavano a spingere. Per nostra fortuna, in qualche modo siamo riusciti a scappare sulla pista che circondava il campo di calcio. Eravamo in otto, ma sulla pista ci siamo ritrovati in tre, gli altri non sapevamo dove fossero. Alla fine ci siamo ritrovati e già quello è stato un bel sollievo. Ricordo ancora i mucchi dei cadaveri, è stato allucinante». Quella sera allo stadio anche un gruppo di tifosi provenienti da Colico e dalla Valtellina che vissero da vicino la tragedia consumata all’interno dello stadio Heysel di Bruxelles. GIANFRANCO COLOMBO

Il ricordo dei valtellinesi

Quando i ricordi sono indelebili per la loro tragicità si stampano nel cervello e sembra si stia parlando di qualcosa di appena accaduto. Succede anche a Milva Pedreti, popolare volto del tifo juventino in provincia di Sondrio.

C’era anche lei quella tragica sera di quarant’anni fa all’Heysel di Bruxelles: «Entrammo molto presto allo stadio e ci accorgemmo che era vetusto, gli ingressi mi ricordavano le porte del pollaio di mio padre. Io ero l’addetta ai panini del nostro gruppo ed i controlli all’ingresso dello stadio erano inesistenti: entrai con quattro coltelli per tagliare i panini ed un paio di forbici. Gli inglesi portavano dentro intere casse di birra. E dentro nella pavimentazione dello stadio c’erano i cubetti di porfido: bastava fare leva col piede per estrarli dal terreno, divennero ben presto” munizioni” per gli inglesi».

Cinque ricoverati

Il pullman dei tifosi valtellinesi era stato organizzato dallo Juventus Club di Tirano : « Tutti i tifosi che avevano viaggiato in pullman avevano posto nella curva opposta a quella degli incidenti, ma c’erano altri cinque tifosi di Chiuro che, invece, trovarono posto nella curva Z. Finirono in ospedale e restarono ricoverati per una settimana perché travolti dalla calca. In quel settore c’erano anche due tifosi di Tirano ma nel momento della totale confusione riuscirono a salire verso l’alto della curva e quindi non ebbero danni, persero solamente le scarpe nella fuga».

Il pensiero mentre si stava consumando la tragedia era quello di poter tranquillizzare i parenti davanti alla televisione: « Uno del gruppo riuscì a uscire dallo stadio e avvisò a casa che era fuori, a quel punto si diffuse a Tirano la notizia rassicurante che il nostro gruppo era rimasto fuori dallo stadio, ma poi i parenti videro le immagini di due ragazzi di Tirano in campo con Scirea e Tardelli e quindi si scatenò il panico a casa. Il nostro presidente il Adriano Corvi, medico, passò la note andando di casa in casa per tranquillizzare i parenti di chi era allo stadio che erano molto preoccupati. Io prima della partenza avevo lasciato una piantina dello stadio ai miei genitori in maniera che sapessero dove fossi: bastò per tranquillizzare mia madre ma non mio padre».

Il problema era quello di avvisare a casa: «La cosa assurda, è che uscendo da Bruxelles la polizia presidiava tutti gli autogrill ed impedivano agli italiani di fermarsi. Ci siamo riusciti in Francia, ma due donne all’autogrill mi hanno impedito di telefonare per cui ci siamo riusciti solo alle 10 del mattino da Basilea». In quel gruppo di tifosi c’era anche il grosino Flavio Mosconi: « Il pomeriggio fuori dallo stadio ci fu un simpatico scambio di sciarpe con i tifosi inglesi, ci siamo salutati cordialmente, attimi veramente belli di sportività, mai avrei potuto immaginare quel che sarebbe successo dopo poche ore. C’erano tanti chioschi abusivi che vendevamo birra e tanti tifosi inglesi si sono ubriacati».

Il pensiero per i parenti

Mosconi è nella curva dei tifosi bianconeri quando succede il dramma: «Abbiamo visto levarsi il fumo dalla curva distrutta e fatta crollare. Chi aveva il binocolo si è accorto di quello che sta accadendo. Io ed un altro tifoso a quel punto siamo usciti, per me non aveva nessun senso assistere alla partita dopo che c’erano si morti. Uscendo dallo stadio ci siamo tolti tutti i simboli della squadra perché temevamo un’imboscata. Il mio primo pensiero era quello di avvisare casa sapendo che mia mamma e mio papà erano davanti alla televisione. Abbiamo trovato una famiglia di origine italiana che ci ha permesso di telefonare. Poi abbiamo atteso l’uscita dei nostri amici, ci siamo ritrovati alle due di notte».

«Dopo quella volta sono andato allo stadio in occasione di un derby: i tifosi del Torino srotolarono uno striscione “39 morti sono pochi”; quelli della Juve risposero rievocando Superga: ne uscii disgustato e non ho più messo piede allo stadio». PAOLO GHILOTTI

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