Affitti brevi, la cedolare secca sale al 26%. «Scelta sbagliata, noi capro espiatorio»

L’aumento della cedolare, previsto nella legge di Bilancio, preoccupa gli operatori del settore a Lecco. Fortemente contrario Massimo Magni, immobiliarista lecchese e Ceo di Affitti Brevi Italia: «Fumo negli occhi»

Lecco

«È un’operazione sbagliata, che va a trovare un capro espiatorio negli affitti brevi mascherando l’aumento del 5% come se fosse un aiuto all’emergenza abitativa. Non è così: semplicemente, si vanno a prendere soldi dove c’è movimento economico e gli affitti brevi sono un elemento che portano valore», afferma Massimo Magni, immobiliarista lecchese e Ceo di Affitti Brevi Italia.

Quello dell’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi è uno dei nodi ancora da risolvere nella maggioranza di governo circa le misure inserite nella legge di Bilancio prossima all’iter parlamentare.

Nella versione della legge di Bilancio bollinata mercoledì scorso dalla Ragioneria generale dello Stato è previsto che la cedolare secca sugli affitti brevi, quelli sotto i 30 giorni dedicati perlopiù ai turisti, salga dal 21% al 26% ma solo se l’immobile viene affittato direttamente dal proprietario, senza passare da intermediari immobiliari e portali telematici, mentre a partire dal secondo immobile affittato l’aliquota rimane al 26%.

Nonostante l’attenuazione della misura (una prima versione della bozza di legge di Bilancio prevedeva una cedolare secca al 26%) le lobby di categoria si preparano ad influenzare un dibattito parlamentare che già sta facendo litigare il Governo, con Lega e Forza Italia contro Fratelli d’Italia.

A Lecco (nei dati presentati la scorsa primavera da Fimaa Confcommercio) la stagione turistica degli affitti brevi va da Pasqua a ottobre e la redditività media è di 18.600 euro, ma un bilocale ben gestito può rendere anche 25mila euro. Le tariffe medie, in rialzo negli ultimi anni, sono intorno ai 107 euro al giorno. L’occupazione media è bassa (58%) ma se si opera in modo professionale si sale al 70-75%.

«Nessuna delle diverse iniziative messe in atto sugli affitti brevi in alcune città d’Italia è servita a risolvere il problema abitativo – afferma Magni -, che si affronta invece a partire dalla legge a tutela dei proprietari che affittano in modo tradizionale e residenziale: anche con un 5% in più i proprietari di affitti brevi non vanno a rischiare morosità e danni con affitti tradizionali su cui purtroppo i proprietari di casa non si sentono tutelati».

Per Magni si tratta dunque di una proposta che è «solo fumo negli occhi: a Lecco – aggiunge - arrivano moltissimi turisti dall’estero, un singolo con un proprio sito web non riuscirà mai ad intercettare tale tipo di domanda, tutti passano attraverso i portali, perciò la proposta sembra voler porre un limite a chi fa da solo. Dal punto di vista delle aziende del settore ciò potrebbe addirittura essere un vantaggio, ma non è quello che cerchiamo. Sul privato che agisce direttamente quindi l’aumento dal 21 al 26% impatterebbe ma non in modo drammatico e si potrebbe andare a compensare, ad esempio su una tariffe di 100 euro, con un aumento di 4-6 euro a notte: è una misura di taglio così, un po’ politico. Il settore è rimasto un po’ deluso da questa iniziativa ma crediamo di avere ancora margine per poter reagire».

Tuttavia, conclude Magni, «ricordo che per il privato che invece si affida a un’azienda di property management in realtà lo spacchettamento della tariffa in canone locazione e servizi resi dal property manager abbassa l’imponibile e quindi ha un impatto minore del 5% dal punto di vista fiscale».

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