Il retail a caccia dei giovani. Decisivi flessibilità e valori

Le Generazioni Zeta e Alpha chiedono migliori condizioni, in particolare su orario e percorsi di crescita. «Necessario investire in formazione e tecnologia, così il lavoro in negozio diventa una scelta di qualità»

Attirare i talenti nel mondo del retail e poi fidelizzarli in un settore che consente percorsi di carriera è la nuova sfida nel commercio al dettaglio e in particolare delle grandi catene della Gdo e del settore moda. Sul tema nei giorni scorsi a Milano in occasione del 13mo “Salone della Csr e dell’innovazione sociale” è stata presentata una nuova ricerca dell’Osservatorio Retail Brand dell’Università Iulm diretto da Francesco Massara, professore associato di Marketing. La ricerca ha analizzato la percezione di 1.677 ragazzi italiani delle generazioni Z (1.339 giovani tra i 20 e i 27 anni) e Alpha (338 ragazzi tra i 14 e i 19 anni, con dati raccolti tra fine agosto e metà settembre. La metà di loro si dice pronta a lavorare nel retail ma a fronte di migliori condizioni e di una maggiore attrattività di un settore in cui «sfruttamento, fatica e precarietà sono termini ancora troppo frequenti quando i ragazzi parlano di lavoro nei punti vendita». Perché i giovani, spiega Massara, chiedono crescita, flessibilità e valori aziendali. Qui Massara spiega fra l’altro perché lavorare in negozio non è un ripiego bensì una scelta lavorativa di qualità se le imprese mettono in campo le giuste condizioni contrattuali e di formazione.

Professore, il retail è un campo molto ampio: ci sono fattori comuni di attrattività che possono fare presa sui giovani?

Sì, i diversi contesti del retail aprono a diverse possibilità quando si afferma la necessità di cambiare narrativa e di raccontare il lavoro nel retail come lavoro formativo, dato che che non tutti vedono il lavoro nei negozi come sfruttante o sottopagato, bensì come appagante e formativo. E’ un settore con moltissime differenze e quindi con moltissime competenze da valorizzare.

Ad esempio?

Ci sono, ad esempio, i retailer ad alto servizio, ad alta consulenza. E’ il caso delle boutique, degli specialty stores, della cosmetica, degli specialisti della tecnologia: quando il livello di servizio è alto si diventa consulenti del cliente e si cresce nelle soft skill. L’esistenza di tanti diversi settori comporta ovviamente percorsi e modalità di formazione diversi e anche attrazione di persone diverse. Ci sono, ad esempio, dei retail meno orientati al servizio e dove il ritmo è più alto, com’è il caso dei grandi negozi di fast fashion dove non prevale la consulenza a tu per tu col cliente. In tal caso ci sono team più ampi in cui si imparano tanti ruoli, si ruota spesso sulle mansioni e si può anche arrivare a guidare un team: ciò forma in particolare sulle competenze manageriali e sulla gestione delle persone, un lato importante di crescita professionale.

Come si colloca sotto questo aspetto la Gdo, la grande distribuzione organizzata?

La Gdo rientra nel caso dei retailer in cui il confronto con il cliente è quasi nullo. In tal caso si diventa forti nel processo di qualità, perché in questo tipo di business che riguarda food e magazzini self service quello che conta è garantire la qualità dei processi, perché prevale l’eccellenza di processo: ricezione merci, prodotti freschi, bancali sempre adeguati, display sempre in ordine, i planogrammi sempre eseguiti correttamente, la sicurezza.

Che tipo di giovani viene più attratto da questi aspetti del lavoro nella Gdo?

Non è un settore per tutti, è adatto alle persone più orientate alla qualità dei processi e, in definitiva, alle persone più portate alla precisione. Quello della Gdo è un settore in cui si impara effettivamente un mestiere, si prendono certificazioni e si può arrivare a gestire anche una certa complessità.

Come valuta la qualità degli investimenti della Gdo in formazione?

Come scritto in questi giorni in un articolo su Mark Up, la Gdo ha molto da dare su questo fronte. Un problema forte della Gdo, che ha parecchia necessità di personale, sta nel fatto di trovarsi ora ad integrare persone di diverse generazioni: questo crea un problema di fondo, perché più è omogeneo il team e più c’è sensazione di inclusione da parte del lavoratore. Ad esempio, un giovane si trova più a suo agio in un gruppo lavorativo di giovani. Altro è invece trovarsi fra persone di generazioni diverse, ma la multigenerazionalità può diventare un asset che però è molto poco compreso e sfruttato nella Gdo. I senior possono trasmettere l’esperienza e i giovani possono dare contaminazioni sul digitale. Ma non ci sono programmi nella Gdo in tal senso, tuttavia farlo è necessario perché non sono molti i giovani che la Gdo è in grado di attrarre.

Perché questi processi che vengono messi in atto nelle imprese manifatturiere faticano ad entrare nella grande distribuzione?

Ci sono complessità diverse. Nelle manifatture oggi è tutto automatizzato e il settore in cui si vedono più persone è quello del packaging. Inoltre le aziende manifatturiere sono molto più protette nel rapporto diretto dei lavoratori con i clienti. Invece nei lavori di negozio si devono, di base, spostare e ordinare i prodotti con l’aggiunta del cliente diretto, che viene da fuori e porta tutta la variabilità possibile. Il retailer è un sistema aperto e proprio nella variabilità che comporta maggiore stress per le risorse umane sta la differenza rispetto alle modalità di lavoro in un’azienda manifatturiera, dove le persone si possono proteggere di più rendendole più partecipi all’azienda.

Lavoro nel retail e nuove tecnologie: quanto la formazione può fare leva su questo aspetto per motivare i ragazzi e anche alzare la competitività delle attività commerciali?

La tecnologia attrae i giovani, ambito di cui sono molto esperti sia nella tecnicalità sia nell’utilizzo più frequente che fanno della tecnologia, cioè la connessione, Ciò ha a che vedere con tutto ciò che riguarda i social e la creazione di contenuti. Le generazioni più senior sono più carenti e per questo è importante capire quali sono i ruoli in cui inquadrare i giovani. Ad esempio, un ambito è quello che riguarda la vendita, oppure tutto il tema del “clienteling”, cioè del mantenere un rapporto personalizzato coi clienti attraverso la tecnologia anche fuori dal negozio via messaggistica. Nuovi ruoli che possono essere utilizzati per attrarre i giovani. Un altro ruolo è quello del creator all’interno di un negozio e in proposito i giovani possono diventare la voce del negozio sui canali social. E c’è tutta la partita dei dati e degli assistenti virtuali, dal remote advisor, che assiste i clienti da remoto con videochat e social, agli animatori di eventi che utilizzano tecnologie.

Quanto può essere lungo un percorso di carriera e quindi di miglioramento economico in una grande realtà del retail?

Una possibilità riguarda una crescita verticale all’interno dei punti vendita: si inizia da addetto alle vendite e si può crescere come vice responsabile e anche store manager, ovviamente a seconda delle capacità della persona. Questo percorso nelle piccole boutique può essere veloce, con una buona guida in un paio di anni si forma uno store manager con responsabilità e possibilità di stipendio raddoppiate. In realtà più grandi lo schema riguarda la responsabilità, ad esempio, di un reparto. Ma ricordo che nelle realtà più grandi non ci sono solo ruoli di negozio ma anche ruoli corporate.

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