Dal Gambia in Italia. Poi la morte nel lago: «Vi racconto la storia di Bubacarr»

«Bubacarr era un fratello». Il 19 luglio 2023, l’intera comunità di Lecco fu scossa dalla morte di un diciottenne gambiano, annegato nel lago di fronte alla Malpensata. Quel giorno, Malik, Ahmed, Sacko (nomi di fantasia) hanno perso un fratello.

«Io e Bubacarr eravamo molto amici. Ancora oggi a volte lo sogno di notte. Era il più piccolo tra di noi» racconta Malik, piccolo di statura rispetto agli altri ma dalla voce sicura.

L’amicizia

«Parlava spesso della vita difficile giù in Gambia. - spiega Ahmed, il più loquace e sorridente dei tre - Suo padre era anziano. Spesso in casa non avevano da mangiare. Bubacarr era l’unico figlio maschio, aveva deciso di venire in Europa perché voleva mandare qualche soldino a casa. Si è impegnato e poi è morto così nel lago a pochi metri dalla riva. È stato doloroso».

Non si vede, il legame tra i tre diciottenni. Non si vede ma si avverte, forgiato da un’esperienza allo stesso tempo personale e di popolo. Un viaggio, intrapreso da minorenni, il cui significato reale sfugge alla comprensione di noi occidentali. «No, non rifaremmo né consiglieremmo il viaggio neanche al nostro nemico. È stato frutto dell’ignoranza» rispondono in coro i giovani migranti, provenienti da un paese dove più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Seppur percorso separatamente ed in momenti diversi, il tragitto per i tre è stato simile: Gambia, Senegal, Mali, Algeria.

Il viaggio

«Dal Gambia - ricorda Ahmed - ho preso un furgone per attraversare il deserto. Eravamo in tanti. Ho visto degli amici morire. Ci ho messo un mese per arrivare in Algeria e ho trascorso cinque mesi come muratore. Non c’era acqua per lavarsi, faceva molto caldo. A volte non mi pagavano e mi minacciavano».

Sacko si sporge in avanti, mostra una ferita sul braccio. «Dormivo in una tenda di fortuna sotto le piante di datteri. Sono arrivati dei criminali algerini che volevano portarci via il telefono. Abbiamo combattuto» racconta il ragazzo. Quando tocca a lui, Malik si stringe nelle spalle. Nel suo sguardo scorrono immagini drammatiche. «Sono stato due mesi in Algeria poi mi sono spostato in Libia. - spiega il giovane - Volevo venire in Italia. Una volta siamo riusciti a partire, siamo rimasti in acqua tre giorni. Il motore non funzionava, eravamo nelle mani delle onde. Poi i libici ci hanno trovato, ci hanno riportato indietro e ci hanno messo in prigione».

Carcere

Tre mesi. Rinchiuso in prigione per almeno tre mesi. «Ci davano da mangiare una sola volta al giorno. - prosegue Malik - Anche quell’unico pasto, però, non era nutriente. Ogni mattina ci picchiavano, ci costringevano a chiamare le nostre famiglie per far mandare dei soldi. Io non ne avevo molti e così sono rimasto più tempo di altri detenuti, finché un giorno io e altri ragazzi siamo riusciti a scappare».

Da lì la fuga in Tunisia e l’incontro con i suoi compagni di viaggio. «Quando ci siamo trovati si è subito creato questo legame di fratellanza. Avevamo tutti lo stesso obbiettivo: arrivare in Europa» sottolinea Ahmed.

Sono gli sguardi, più che le parole, a dare l’idea di quanto ciò sia vero. «Abbiamo dato i soldi ad un signore che ci ha fatti partire. - ricorda Malik - Eravamo 45 su una piccola barca, alcuni dei passeggeri si sono ammalati. C’era un forte odore di petrolio. Io ho sofferto, avevo molta paura».

Tutti avevano paura. «Non avevamo scelta. Dovevamo andare fino in fondo. Abbiamo visto gente morire» ha precisato Ahmed.

Oggi, i tre giovani gambiani sono ospiti gli appartamenti della cooperativa La Grande Casa a Barzanò. A breve sosterranno l’esame di lingua italiana e sono impegnati in progetti di volontariato sul territorio. Tutto ciò in attesa che la commissione territoriale si esprima sulla loro richiesta di protezionale internazionale. Attesa che dura da sei mesi.

Le idee, per il futuro, sono chiare. «Vogliamo imparare la lingua - spiegano i tre giovani sorridendo -, trovare un buon lavoro e costruire una famiglia. Vogliamo crescere dei figli in modo che non debbano passare quello che abbiamo passato noi. Vogliamo partecipare alla società italiana e contribuire».

Nonostante il dramma, nonostante tutto, l’audacia della speranza.

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