Lario Reti Holding
Passa la nuova multiutility
In Consiglio comunale scontro fra la maggioranza e un fronte composito contrario all’operazione: «Strappo alla democrazia per far spazio ai privati»
Lo scontro in Consiglio comunale di lunedì scorso è stato duro, vibrante.
Forse l’appuntamento politico locale di maggior tensione dai tempi del via libera al teleriscaldamento. I protagonisti sono sempre gli stessi. Da un lato del ring, il sindaco Virginio Brivio, il Pd locale, le scelte a maggioranza dell’assemblea dei sindaci e la società partecipata protagonista della vicenda. In questo caso, Lario Reti holding, e non la solita Silea. Dall’altra parte il fronte composito e ormai sostanzialmente double face di chi vorrebbe gestioni totalmente diverse sia in ambito acqua sia in ambito rifiuti.
C’è Massimo Riva, consigliere comunale Movimento 5 stelle, Germano Bosisio, ex Rsu Leuci, e Alberto Anghileri, consigliere di Sinistra. Con loro, il comitato Acqua pubblica, qualche volto di Qui Lecco Libera e il sostanziale appoggio (pur con mille distinguo) della Lega e di qualche civico di destra come Alberto Negrini.
Il pomo della discordia, come ormai risaputo, era la creazione della multi-utility del Nord Italia, a partire dall’aggregazione di Acsm-Agam, Aspem, Aevv, e A2A, rispettivamente rappresentanti di Como, Varese, Sondrio e, oltre a Milano e Brescia, anche del mercato privato. Un’operazione delicata, varata ieri sera dal consiglio comunale, che vede di fatto Lario Reti cedere l’asset con maggiori prospettive di utile (e dividendi) e l’ambito territoriale rinunciare in qualche misura a un controllo diretto sul servizio erogato ai cittadini. A poco o nulla sono valse le rassicurazioni di Lelio Cavallier, di Marco Canzi (sostanzialmente lo stato maggiore di Lario Reti) e degli advisor presenti: la protesta è stata plateale, con tanto di applausi ironici, mugugni più o meno sguaiati e striscioni esposti.
I tecnici avevano rassicurato il Consiglio circa tre elementi in particolare. Innanzitutto, le prospettive reali di investimenti sul territorio, in particolar modo per l’efficientamento energetico degli edifici; secondo, la garanzia che la maggior parte delle quote sociali della futura multiutility resteranno in mano ad enti locali e non a privati; terzo, le future quote (che vedranno il lecchese attestarsi al 23%) sono state a più riprese certificate da soggetti terzi.
Ma le proteste sono state comunque vibranti. A partire dal metodo di discussione che – in presenza di cifre relative a investimenti futuri di una società quotata in borsa, Acsm Agam – ha richiesto ai consiglieri una clausola di segretezza di tre anni. Solo in 12 hanno firmato, e il dibattito è dovuto proseguire senza citare i dati sensibili. Massimo Riva ha parlato di «uno strappo gravissimo, le regole della democrazia messe da parte per fare spazio ai desiderata di advisor, società private, Borsa e quant’altro. Noi oggi regaliamo un pezzo di proprietà pubblica, con un procedimento discutibile, per lasciarlo finire in un circuito in cui a farla da padrone sarà la speculazione, i cda dei nominati».
Parole forti (e contrarie) anche da Alberto Anghileri, Alberto Negrini e Cinzia Bettega. Al contrario, Agnese Massaro, Pd, ha voluto puntare il dito contro una modalità di protesta sterile, «che nulla ha detto nel merito di un’operazione e delle sue possibili alternative, ma soprattutto di un contesto economico in cui il mercato si fa più aggressivo e competitivo, e le nostre aziende possono non avere le forze per farvi fronte».
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