Pgt di Lecco, l’Ordine degli architetti frena: «Serve una visione urbanistica più incisiva»

A pochi giorni dal passaggio in consiglio comunale del nuovo Piano di governo del territorio, l’Ordine degli architetti della Provincia di Lecco solleva critiche sul consumo di suolo, il verde urbano e le scelte per contrastare l’inquinamento

Lecco

A poche settimane dal primo passaggio in consiglio comunale del nuovo piano di governo del territorio del Comune di Lecco, previsto a fine mese, arriva la presa di posizione dell’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Lecco. «Pur riconoscendo – spiega l’ente guidato dall’architetto Valentino Scaccabarozzi in un comunicato - i miglioramenti a livello provinciale, si evidenzia come la città di Lecco continui a registrare alti livelli di inquinamento atmosferico, accentuati da fenomeni come le isole di calore e dalla particolare morfologia tra lago e montagna. Le previsioni di piano non accolgono pienamente scelte incisive per ridurre l’inquinamento e migliorare il microclima urbano».

In aggiunta, si contestano «i criteri con cui vengono calcolate le aree restituite a suolo libero», si «richiede un più rigoroso disegno del verde urbano» e si evidenzia come la riduzione del consumo di suolo del 18,81% prevista dalla variante non sia «coerente con gli obiettivi fissati dalla normativa regionale e provinciale».

«Lecco – prosegue l’ordine degli architetti - risulta essere polo attrattivo non solo per aspetti turistici ma anche per funzioni pubbliche e private concentrate che richiedono un progetto di città dove porre come obiettivo prioritario la pedonalizzazione del centro e delle aree a lago, la delocalizzazione esterna delle funzioni o in alternativa dei parcheggi collegati mediante servizio pubblico. Tutto ciò non sarebbe sufficiente senza includere l’obiettivo di una diversa visione urbanistica che porti, mediante gli interventi di trasformazione e di rigenerazione urbana, a considerare prevalenti il recupero di aree dove la permeabilità del suolo, le piantumazioni, l’uso di materiali drenanti, congiuntamente ad interventi di bioarchitettura ridisegnino un contesto urbano con minor impatto volumetrico ma con maggiori spazi di utilizzo sociale».

A fronte di questo, «alcune schede di progetto risultano troppo rigide nel fissare le destinazioni d’uso, precludendo la possibilità di adattare gli interventi alle future esigenze socio-economiche». «In riferimento alle schede per le aree di trasformazione che interessano le cave del Magnodeno, - conclude l’ordine - si segnalano le carenze sulle indicazioni progettuali per una corretta rinaturalizzazione delle aree oggetto di passata escavazione. L’invito è quello di prendere ad esempio quelle realtà dove i versanti sono ricuperati con un’unica pendenza e non a gradoni». L’esempio citato dagli architetti è il parco Monte Barro.

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