Sanità lecchese, mancano
500 infermieri: urgono incentivi

Allarme del sindacato Nursing Up e dell’Opi di Lecco: mancano oltre 500 professionisti. Serve maggiore attrattività e bonus per i tirocini

Lecco

Erano 400 gli infermieri mancanti nel 2024. Ora sono di più. Difficile dare numeri precisi anche perché dei 2.108 iscritti all’albo dell’Opi, ordine delle professioni infermieristiche, ci sono molti iscritti lecchesi che lavorano altrove (Svizzera, ma anche altre province lombarde), ma l’impressione è che si sia ormai su una cifra superiore ai 500 professionisti del settore mancanti nella sanità lecchese. E nonostante la penuria di vocazioni, lo Stato non aiuta i giovani a farsi attrarre da professioni come l’infermiere o l’ostetrica. Chi fa i tre anni di scienze infermieristiche e presta tirocinio in ospedale, spesso “turando le falle”, non viene retribuito. Neanche un centesimo. Cosa che, mutatis mutandis, invece, i medici tirocinandi (specializzandi), prendono: quasi uno stipendio pieno. Certo, il medico è già laureato dopo sei anni di studio ed è in specializzazione (pensiamolo come un master), mentre l’infermiere tirocinante deve finire il suo percorso. Ma poco conta: gli infermieri tirocinanti vengono comunque sfruttati gratis.

L’allarme è lanciato dal sindacato Nursing Up ma trova facile sponda in Fabio Fedeli, presidente dell’Opi di Lecco. «Se da noi di soldi per chi fa tirocinio non ci sono, in altre regioni, però, come è notizia di qualche giorno fa, vengono retribuiti. Il Veneto ha annunciato delle risorse per dare un bonus di circa 1.000 euro a copertura delle spese universitarie per gli infermieri che fanno tirocinio. Ma possiamo anche non pensare a questa misura, inventarcene altre, l’importante sarebbe dare maggiore attrattività alla professione perché ormai, è quasi inutile ribadirlo, la carenza infermieristica ha raggiunto proporzioni altissime con una popolazione che invecchia e che ha sempre più bisogno di assistenza, ancor più che diagnosi e procedure diagnostiche. La grossa mancanza sul nostro territorio è quella essenzialmente di infermieri, quindi ben vengano tutte le iniziative che rendano più attrattiva la professione e il percorso di formazione».

Fedeli continua: «Noi come ordine in questi anni stiamo partecipando a diverse iniziative di orientamento inserite anche in attività di educazione alla salute, di educazione sanitaria rivolte agli studenti delle scuole secondarie che stanno avendo successo, nel senso che gli studenti riconoscono la competenza degli infermieri e quindi la capacità degli infermieri come professionisti della salute. Qualcuno di questi studenti dopo queste attività si è anche detto interessato a provare a intraprendere un percorso formativo di questo tipo. Chiaro che un incentivo che possa essere economico, o anche di aiuto alle famiglie per sostenere le spese universitarie, potrebbe essere sicuramente una scelta strategica. A questo però non ci dobbiamo dimenticare che deve seguire anche una valorizzazione post laurea, anche perché per combattere la carenza bisogna, fare in modo che anche i professionisti che attualmente sono già nel mondo del lavoro, non fuggano per altre opzioni lavorative o per cambiare professione».

Già, perché la crescita della carriera per un infermiere non esiste. Infermiere si nasce e si muore. Gli scatti di stipendio vanno solo per anzianità, non per merito o per capacità particolari. E oltre le questioni retributive, ci sono quelle di benessere, pensando al tema della lotta al burnout e ai fenomeni come quello della crisi abitativa. Ma, forse, è meglio cominciare da chi in questo mondo ci vuole entrare. Un passo alla volta.

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