Sirtori: Krzysztof Wielicki, Hans Kammerlander e Simone Moro raccontano l’alpinismo

I tre eccezionali ospiti hanno reso ancora più indimenticabile il trecentesimo appuntamento della serie “A tu per tu con i grandi dello sport. «Per noi - ha raccontato Wielicki - prima di tutto c’era il sogno. Poi la squadra, che era formata da amici. Quindi, si andava in montagna. Oggi, invece, le spedizioni si organizzano per telefono»

Sirtori

Krzysztof Wielicki, Hans Kammerlander e Simone Moro. Tre alpinisti i cui successi sono nella storia dell’alpinismo. Eppure, nessuno di loro si sente un superuomo.

«Per noi - confessa Moro, mentre tiene in braccio il figlioletto biondo - quelle imprese rientrano nella nostra zona di comfort. O appena un po’ più in là. Non è una roulette russa. Figuriamoci se rischierei, sapendo di avere a casa un “bocio” così», conclude sorridendo al figlioletto.

Mercoledì sera, prima al Red’s hotel e quindi nel negozio Df Sport Specialist, a una folla di appassionati hanno raccontato il loro alpinismo.

Wielicki ha aperto la strada alle invernali himalayane, Kammerlander ha superato i limiti della fisica scendendo con i sci ai piedi dagli Ottomila, mentre Moro ha realizzato imprese come la traversata dell’Everest, fino al Tibet.

I tre eccezionali ospiti hanno reso ancora più indimenticabile il trecentesimo appuntamento della serie “A tu per tu con i grandi dello sport” che da quindici anni porta a Sirtori i nomi più prestigiosi tra gli alpinisti e non solo. «Sono venuti tanti sportivi ma - ha confessato Sergio Longoni - nessuno come gli alpinisti è capace di trasmettere emozioni».

Wielicki, Kammerlander e Moro sono espressione di un alpinismo che in gran parte oggi non c’è più, travolto anche dai social media. «Oggi è cambiata la velocità con cui si comunica e si percepisce tutto. Tutti noi siamo nati sognando e leggendo i libri di chi era venuto prima. Tutto è veloce, oggi. Ma la velocità del momento è inversamente proporzionale alla profondità del ricordo. Se vedi una montagna su Google Earth non è come salirci a piedi».

Che l’alpinismo odierno sia assai diverso da quello del passato, l’ha detto anche Kammerlander, riferendosi alle spedizioni commerciali sull’Himalaya. «Noi eravamo quasi sempre da soli. Quello di oggi sull’Everest non è più alpinismo ma un carnevale. Tanti oggi salgono e, se sono in difficoltà, chiamano l’elicottero. Noi eravamo soli e abbiamo sempre rischiato».

Un rischio calcolato. «I miei primi anni sono stati da matto. Poi, ho cominciato a pensare».

Concetto espresso anche da Moro, che ha ricordato un aneddoto. «Avrò avuto 15 o 16 anni quando Riccardo Cassin mi diede una piccozza e una corda. Mi disse: “Per te non sarà difficile diventare un grande alpinista. Cerca però di diventare un vecchio grande alpinista”». «Se guardo a Bonatti o a Messner, che hanno fatto la storia - ha aggiunto - vedo che sono stati alpinisti che hanno imparato a diventare saggi. La vetta è solo metà della salita. Dopo, c’è il ritorno, quando si è stanchi».

L’alpinismo commerciale attuale, invece, è solo spettacolarizzazione. «Per noi - ha raccontato Wielicki - prima di tutto c’era il sogno. Poi la squadra, che era formata da amici. Quindi, si andava in montagna. Oggi, invece, le spedizioni si organizzano per telefono. Non voglio dire sia sbagliato ma la nostra strada era più sicura. Per questo, a volte, accadono le tragedie».

Nonostante questo, anche oggi ci sono tanti giovani alpinisti. Anche in Italia. «Non devono spaventarsi del fatto che tanto è già stato fatto - ha detto Moro. - Semplicemente, bisogna spingere i giovani ad andare su altre montagne. Non sull’Everest in aprile o maggio, quando c’è il carnevale, ma ad agosto, con i monsoni. O altrove».

E trovare qualche altra bella idea. Una l’ha suggerita Kammerlander. Per esempio, scendere da tutti gli Ottomila con gli sci.

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