
Cronaca / Oggiono e Brianza
Lunedì 14 Luglio 2025
Costa Masnaga, salta lo sgombero della moschea
Sgombero della moschea bloccato a Costa Masnaga: la Prefettura non concede la forza pubblica. Il Comune valuterà ora come procedere.
Costa Masnaga
Colpo di scena nella vicenda della moschea di via Cadorna 5 a Costa Masnaga: salta all’ultimo minuto lo sgombero dei locali. Il tutto è avvenuto nella mattinata di lunedì 14 luglio, quando il sindaco di Costa Masnaga, Sabina Panzeri, si è presentata all’ex opificio con la Polizia locale per procedere allo sgombero dei locali di proprietà dell’associazione La Speranza. L’atto sarebbe stato notificato una ventina di giorni fa dal Comune all’associazione attraverso un’ordinanza di accesso e sgombero coattivo. La Speranza, però, si sarebbe fatta trovare sul posto con numerose persone all’interno degli spazi utilizzati come luogo di preghiera, per impedire lo sgombero. Ciò non ha permesso al Comune di procedere, perché la Prefettura di Lecco non avrebbe messo a disposizione la forza pubblica e quindi non è stato possibile liberare i locali per la presenza dei fedeli asserragliatisi negli stessi per impedire l’attuazione dell’ordinanza.
Adesso la palla torna al Comune di Costa, che si interfaccerà con la Prefettura per valutare come procedere. Si tratta dell’ennesimo capitolo della saga più che ventennale che ha visto quali contendenti il Comune di Costa da una parte e La Speranza dall’altra, quest’ultima associazione privata non riconosciuta la cui finalità è quella di rafforzare e diffondere la fede e la cultura islamica. La sede dell’associazione si trova in alcuni locali dell’ex opificio, la cui destinazione d’uso è oggetto dell’annosa controversia: un’area con destinazione produttiva e adibita a deposito industriale per il Pgt, che però La Speranza ha trasformato in moschea dal 2000. Nel 2018 il Comune aveva anche pensato di delocalizzare la moschea ai margini della Superstrada 36 su un’area di circa 5.000 metri quadrati, ma il progetto non ha avuto seguito.
L’ultimo contezioso era sorto nel 2019, quando il Comune nel corso di un sopralluogo aveva riscontrato all’interno della proprietà dell’associazione la presenza di una serie di interventi che miravano alla trasformazione dell’edificio da deposito a luogo di culto. A seguito delle risultanze di tali accertamenti, il Comune aveva quindi disposto la demolizione dei manufatti con relativo ordine di ripristinare il preesistente stato dei luoghi. Non concordando con la decisione dell’ente, l’associazione aveva deciso di impugnare davanti al Tribunale amministrativo regionale il provvedimento di cui era stata destinataria. Il Tar aveva però dato ragione al Comune. L’associazione era poi risultata nuovamente soccombente anche nel successivo giudizio di appello promosso dalla stessa davanti al Consiglio di Stato. Nonostante questa doppia sconfitta, l’associazione aveva proseguito la propria battaglia legale nei confronti del Comune e aveva adito la Corte di Cassazione, impugnando anche la decisione del Consiglio di Stato. La Suprema Corte dapprima aveva formulato una proposta di definizione accelerata e invitato l’associazione a valutare se proseguire o meno il giudizio, stante la probabile soccombenza della stessa in considerazione del fatto che il ricorso presentato appariva inammissibile. L’associazione aveva invece insistito per portare comunque avanti la causa e arrivare alla decisione. La Corte si era quindi pronunciata rigettando il ricorso.
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