Nuovi profili del turismo: «Il marketing non basta»

Anna Scuttari, referente della laurea magistrale in Hospitality and Tourism Management allo “Iulm”: «La ricerca condotta sulla gestione di 109 destinazioni turistiche rivela carenze formative nei settori di gestione e strategie»

Non più solo enti per il marketing territoriale. Le organizzazioni, pubbliche o private, di gestione delle destinazioni turistiche (Dmo) sono impegnate sulla via della trasformazione in enti di sviluppo territoriale sostenibile. Una transizione che induce alla messa a punto di nuovi modelli di governance, ruoli e attività, con la necessità di aggiornare anche la formazione.

Il cambiamento è in atto ma è solo all’inizio, come mostrano i risultati della ricerca dal titolo “Dmo Transformation: dal marketing alla gestione dello sviluppo sostenibile” realizzata dall’Università Iulm con DataAppeal e Destinaction, presentata lo scorso 28 maggio.

Della ricerca basata su un campione di 109 Dmo localizzate in 17 Regioni italiane con aggiornamento a febbraio 2025 è responsabile Manuela De Carlo (professoressa ordinaria di Economia Aziendale in Università Iulm, dove dirige il Dipartimento di Business, Diritto, Economia e Consumi) che ha lavorato in team con le docenti nel team Francesca D’Angella e Anna Scuttari. Della ricerca che ha misurato la maturità delle Dmo e della formazione necessaria per il settore parliamo con Scuttari, professoressa di Economia Aziendale e referente del corso di laurea magistrale in Hospitality and Tourism Management.

Professoressa, di che organizzazioni tratta la ricerca?

Si tratta di organizzazioni che (essendo il turismo di competenza regionale) ogni Regione può definire a modo proprio. Molto spesso sono enti pubblici, anche coincidenti con gli enti regionali, in altri casi sono agenzie spesso pubbliche o anche con partnership privati. Comunque, non sono aziende private e non sono tour operator.

Come si comportano in media i territori nelle attività di Dmo?

In moltissime Regioni, province e Comuni italiani non riscontriamo molta differenza fra gli enti di gestione e promozione del turismo e gli enti di marketing turistico perché questi stessi enti svolgono principalmente solo attività di promozione, branding e comunicazione della località. Certo, se si parla di marketing territoriale in senso ampio si potrebbero considerare anche altre attività com’è, ad esempio, il marketing dei prodotti agricoli, tipici, Igp. Queste non sempre sono attività che le organizzazioni preposte al governo del turismo fanno. Ad esempio, l’Alto Adige ha un’agenzia, Idm-Innovation Development and Marketing che si occupa di promozione territoriale in senso molto ampio, inclusa la promozione dello speck altoatesino, delle mele e di altri prodotti.

Cos’ha dimostrato la ricerca?

Ha dimostrato che prevalentemente le organizzazioni di destination management italiane sono all’inizio del loro percorso di sviluppo, nel senso che rispetto allo scenario europeo di riferimento di questo tipo di organizzazione le nostre sono ancora molto legate alle attività di promozione, marketing e branding e, rispetto all’estero, si concentrano molto meno sulle attività di gestione del turismo in termini di gestione sostenibile. La nostra ricerca ha soprattutto indagato nel dettaglio quali attività di promozione della sostenibilità queste organizzazioni svolgono.

Ad esempio?

Abbiamo cercato di capire se queste organizzazioni promuovono uno sviluppo sostenibile del territorio attraverso, ad esempio, una particolare politica di gestione della destinazione, oppure specifiche attività di formazione degli operatori, o se informano i visitatori sull’utilizzo dei trasporti pubblici, se svolgono azioni per contrastare gli effetti del cambiamento climatico, se sostengono e promuovono attività turistiche più ecosostenibili, se adottano sistemi di certificazione e di controllo della sostenibilità dell’offerta turistica e degli eventi. Abbiamo approfondito tutto ciò sia in relazione a strategia e visione per uno sviluppo sostenibile e rispettoso quindi delle risorse ambientali e delle popolazioni locali, sia guardato alle attività specifiche che le Dmo svolgono per preparare i territorio a un cambiamento che necessariamente dovrà arrivare. Abbiamo voluto capire se come enti cruciali per il coordinamento delle aziende e degli operatori, molto frammentati in Italia, fossero capaci di essere capofila in uno sviluppo più attento alla sostenibilità.

Con quale esito?

Abbiamo registrato che alcune Regioni e organizzazioni riescono davvero a svolgere una leadership nel drenare uno sviluppo territoriale sostenibile, e sono gli esempi migliori in termini di formazione, certificazione, monitoraggio e comunicazione. Ma ci sono tantissime organizzazioni low performer, che ancora oggi puntano più che altro al marketing della località turistica senza porsi il problema della gestione sostenibile dei flussi, del possibile rischio di consumare o inquinare risorse naturali. Oltre la metà del nostro campione non ha questa sensibilità ambientale e sociale.

Nelle Dmo c’è un problema di formazione adeguata degli operatori?

È un aspetto che abbiamo rilevato chiedendo se le stesse Dmo svolgono attività di formazione, sia all’interno del loro network di operatori sia per sé stesse. Le risposte sono contrastanti: 7 su 10 forniscono supporto generico alla filiera dando nozioni e informazioni agli operatori, ma solo la metà fa corsi di formazione interni per gli operatori. Ciò ci fa pensare che la sostenibilità sia interpretata all’interno di un’organizzazione come un comparto, mentre dovrebbe essere elemento trasversale per il quale tutti i dipendenti di una Dmo vengono formati e aggiornati costantemente. Un’altra nostra domanda ha riguardato se fosse presente una formazione periodica sulle strategie di sostenibilità per il personale della Dmo: in questo caso la percentuale è molto più bassa, pari al 39%.

Qual è il miglior percorso di formazione?

È quello con un forte tratto professionalizzante, nel senso che in Italia abbiamo troppo spesso abbiamo accettato di progettare, coordinare e promuovere delle destinazioni turistiche un po’ improvvisando, facendo leva sulle bellezze territoriali. Ciò che è necessario soprattutto nelle Dmo è avere una professionalità specifica, in particolare conoscere bene nozioni, informazioni e caratteristiche del settore da vari punti di vista disciplinari. Ad esempio, il corso di laurea che coordino e che ha un indirizzo specifico sulla sostenibilità dei territori, è interessante in quanto include nozioni di geografia, di marketing (che resta importantissmo), ma include anche corsi di antropologia per comprendere gli impatti del turismo sui territori, corsi di economia aziendale per immaginare nuove idee di business. Chi lavora in una Dmo deve avere molto ben chiaro il panorama ampio delle discipline e dei settori (dai trasporti agli eventi culturali e molto altro) che interagiscono col turismo, per formulare strategie e gestire in modo professionale e anche un po’ visionario il turismo del futuro.

La ricerca non vuole essere una classifica fra più o meno bravi?

No. È rilevante sottolineare che in questo panorama italiano un po’ da fanalino di coda c’è un elemento interessante: la nostra è stata una fotografia delle organizzazioni a febbraio 2025, al netto però di molte attività iniziate e che non hanno ancora mostrato i loro effetti. Con la professoressa De Carlo che coordina e ha la direzione scientifica della ricerca sottolineo che la sostenibilità non è uno status quo o un punto di arrivo, bensì un processo in cui questa ricerca si inserisce.

A ricerca conclusa molte Dmo ci hanno contattati per conoscerne il risultato, a dimostrazione del grande interesse per comprendere come incorporare la sostenibilità nella gestione quotidiana di una destinazione turistica.

È in atto un cambio di mentalità, con una nuova volontà di pianificare il turismo in armonia con le popolazioni locali e le risorse a disposizione.

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