L’AI ridisegna la società e cambia le regole del gioco

L’intelligenza artificiale richiede una formazione basata sull’uso critico per evitare la “delega cognitiva” in azienda. Essenziale che l’uomo si assuma sempre la responsabilità delle proprie scelte e comprenda i limiti dell’algoritmo

«Nessuna delega all’intelligenza artificiale. Con l’AI bisogna lavorare, ma siamo noi a decidere il come, il quando, il perché e il quanto. Nella formazione l’università potrebbe prendersi alcuni compiti in merito», afferma Mauro Ferraresi, sociologo dei Consumi e della Cultura d’impresa in Università Iulm, autore del nuovo libro “Sociologia dell’AI-Creatività, coscienza, potere” (in collaborazione con Massimiliano Raffa (Università dell’Insubria) nel quale, fra l’altro fa emergere l’importanza di creare un nuovo sistema cognitivo, «cioè – spiega Ferraresi - un ambiente in grado di trasformare la nostra attenzione, la nostra creatività, i nostri rapporti di potere grazie all’AI».

Per riuscirci cosa deve fare la formazione universitaria?

L’università deve fare una didattica laboratoriale che sperimenti nuovi prompt, nuove forme di design, nuove forme di scrittura aumentata. L’AI crea un sistema ibrido uomo-macchina, una sorta di specchio distorto che ci costringe a ripensare ai nostri modi di costruire, al nostro rapporto di potere che finora abbiamo sempre avuto con altri esseri umani e che oggi ci troviamo ad avere con un essere “sintetico”, non umano e che però attua dei poteri.

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