Comunicato Stampa: “Drawing Dyslexia”, quando parola e immagine diventano un unico spazio di ascolto e riconoscimento

“Drawing Dyslexia” di Gaia Gaboardi , pubblicato da Europa Edizioni è un libro che nasce da una frattura profonda e mai del tutto ricomposta, e proprio per questo rifiuta consapevolmente qualsiasi struttura narrativa pacificata. Fin dalle prime pagine, l’opera chiarisce la propria natura: non intende spiegare la dislessia, né raccontarla secondo un ordine rassicurante, ma renderne percepibile il peso emotivo , la persistenza silenziosa, la capacità di insinuarsi nella vita quotidiana fino a diventarne una componente strutturale. Il lettore non viene guidato lungo un percorso lineare, ma introdotto in uno spazio mentale in cui parole, immagini e pause convivono in equilibrio instabile, riproducendo sulla pagina un’esperienza fatta di attriti continui con il linguaggio.
La scelta di una scrittura frammentaria non è un espediente formale, ma una necessità espressiva. Il testo procede per blocchi, per immagini isolate, per brevi affermazioni che si caricano di senso proprio grazie alla loro esposizione nuda. La discontinuità diventa linguaggio , e la pagina si trasforma in un campo visivo prima ancora che narrativo. In questo modo, “Drawing Dyslexia” non chiede soltanto di essere letto, ma di essere attraversato con lentezza, accettando di sostare nell’incertezza e nel vuoto. Il silenzio, le interruzioni, gli spazi bianchi non sono assenze, ma parti attive del discorso, elementi che contribuiscono a costruire una percezione complessiva dell’esperienza raccontata.
Il nucleo autobiografico dell’opera non si traduce mai in un racconto confessionale tradizionale. Gaboardi non sembra interessata a ricostruire una storia esemplare, quanto piuttosto a dare forma a un sentire , a una condizione interiore che precede e supera gli eventi. La dislessia emerge come una presenza costante, una “compagna di banco” che accompagna l’autrice da sempre. Quando la diagnosi arriva, tardiva, non rappresenta una soluzione, ma un punto di rottura: dare un nome alla difficoltà significa aprire un vaso di ricordi, frustrazioni e domande irrisolte. Il testo restituisce con grande onestà questa ambivalenza, evitando qualsiasi semplificazione consolatoria.
Incisiva nella narrazione di “Drawing Dyslexia” è l’attenzione rivolta alle conseguenze emotive della dislessia, quelle che raramente trovano spazio nel discorso pubblico. L’opera insiste sul senso di solitudine, sull’autoaccusa, sulla fatica di misurarsi continuamente con parametri che non tengono conto delle differenze. La violenza più profonda non è quella dell’errore , ma quella del giudizio interiorizzato, della voce che rimprovera, che pretende, che non concede tregua. In questo senso, il libro assume una funzione quasi riparatoria, dando parola a emozioni che spesso restano sommerse e inascoltate.
Accanto alla scrittura, il disegno occupa un ruolo centrale e fondativo. Non viene presentato come un semplice strumento alternativo, ma come un linguaggio originario, capace di esprimere ciò che la parola fatica a contenere. L’origine visiva dell’opera è dichiarata apertamente, e questo conferisce al libro una dimensione ulteriore: il segno grafico diventa spazio di libertà , luogo in cui il pensiero può muoversi senza essere costretto in strutture rigide. La presenza della sinestesia, intesa come modalità percettiva in cui lettere e suoni assumono colori, rafforza questa apertura verso un’esperienza del linguaggio non convenzionale, ma profondamente coerente con il vissuto dell’autrice.
Proseguendo nella lettura, “Drawing Dyslexia” amplia progressivamente il proprio orizzonte, spostandosi da una dimensione più intima e introspettiva verso una riflessione che coinvolge il rapporto con l’esterno, con lo sguardo degli altri e con le aspettative sociali. La dislessia non è mai raccontata come un’esperienza isolata, ma come una condizione che si definisce costantemente nel confronto, spesso impari, con un mondo costruito su criteri di normalità rigidi e poco inclusivi. Il senso di inadeguatezza nasce proprio da questo scarto , da una richiesta di conformità che ignora la complessità dei processi cognitivi e affettivi. Il libro rende evidente come la difficoltà non risieda soltanto nel gesto tecnico, ma nella continua necessità di giustificarsi, di dimostrare il proprio valore, di colmare una distanza che sembra non ridursi mai del tutto.
Nel corso dell’opera emerge con forza il tema dell’autopercezione, del modo in cui anni di incomprensioni e silenzi finiscono per modellare l’immagine di sé. Gaboardi non nasconde la fatica di questo processo, né cerca di attenuarne gli aspetti più dolorosi. L’autocritica diventa una presenza costante , una voce interiorizzata che accompagna ogni tentativo, ogni fallimento, ogni sforzo. Tuttavia, il libro non si limita a registrare questa dinamica, ma prova lentamente a incrinarla, introducendo un gesto di riconciliazione che passa attraverso la consapevolezza. Chiedere scusa a sé stessi, riconoscere di aver preteso troppo, diventa un atto di grande forza, capace di aprire uno spazio nuovo di possibilità.
Col procedere della narrazione, il tono muta gradualmente: la dislessia viene riconosciuta come una presenza con cui convivere, non come un nemico da sconfiggere né come un dono da idealizzare. L’equilibrio raggiunto è fragile e consapevole , frutto di tentativi, errori, adattamenti continui. In questo percorso, il ruolo delle relazioni appare fondamentale: insegnanti, amici, figure di riferimento che hanno saputo vedere oltre la difficoltà, riconoscendo un valore che l’autrice stessa faticava a scorgere. Il libro sottolinea così l’importanza dello sguardo esterno, non come giudizio, ma come possibilità di rispecchiamento e sostegno.
Nelle pagine finali, “Drawing Dyslexia” assume una dimensione dichiaratamente dialogica, rivolgendosi direttamente a chi legge. L’opera si trasforma in un messaggio di incoraggiamento che evita ogni retorica motivazionale, preferendo un tono sincero, quasi confidenziale. Il valore non viene mai messo in discussione , e il testo insiste sull’idea che esistano modi diversi, ma ugualmente legittimi, di apprendere, di esprimersi, di stare nel mondo. L’intento non è quello di fornire strategie o soluzioni universali, ma di offrire una testimonianza che possa risuonare, aprire domande, creare riconoscimento.
Il concetto di “impronta”, richiamato esplicitamente, sintetizza efficacemente il senso complessivo dell’opera. Non si tratta di lasciare un segno grandioso o definitivo, ma di affermare la propria presenza, di dare dignità a un percorso spesso vissuto in solitudine. L’impronta è fragile, personale, irripetibile , e proprio per questo autentica. Anche i ringraziamenti finali si inseriscono in questa logica, diventando parte integrante del racconto e non una semplice appendice formale. Essi restituiscono l’idea di un cammino condiviso, sostenuto da legami che hanno reso possibile arrivare fino in fondo.
Nel suo insieme, “Drawing Dyslexia” è un’opera che richiede attenzione, ascolto e disponibilità emotiva. Non offre risposte facili né chiusure nette, ma invita a sostare nella complessità, ad accettare l’incompletezza come parte dell’esperienza. La coerenza tra forma e contenuto rappresenta uno dei suoi punti di maggiore forza , rendendo il libro non solo un racconto sulla dislessia, ma un’esperienza che ne riflette intimamente la percezione. In questo dialogo costante tra parola, immagine e silenzio, l’opera di Gaia Gaboardi trova una voce limpida e necessaria, capace di parlare senza spiegare troppo, di mostrare senza semplificare, lasciando al lettore uno spazio autentico di incontro e di comprensione.

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