
Cronaca / Sondrio e cintura
Martedì 06 Giugno 2017
Caso Gasolio, primi dissequestri
Il Riesame respinge le accuse
Già sei i casi discussi, altri sette in agenda. Il collegio dà ragione ai privati. «Per detenere materiale infiammabile basta aver presentato la Scia ai vigili del fuoco».
Quattro dissequestri il 26 maggio, due invece il 31 (mentre altri due sono stati confermati), e per il prossimo 9 giugno i giudici hanno già in agenda 7 richieste. Primi pronunciamenti del Tribunale del Riesame di Sondrio sui depositi di gasolio ai quali la Guardia di finanza ha posto i sigilli contestando la mancanza di permessi e autorizzazioni.
Dopo i provvedimenti di sequestro probatorio, arrivano quindi le prime sentenze, alcune delle quali favorevoli agli imprenditori, a testimonianza del fatto che molti di loro, avendo dimostrato di avere le carte in regola, possono lasciarsi alle spalle questa vicenda che sta interessando chiunque detenga cisterne o depositi per gasolio destinato ad autotrazione.
Si tratta di ditte che operano soprattutto nel mondo dell’autotrasporto e dell’edilizia e che hanno diritto a chiedere il rimborso delle accise sul carburante che utilizzano per lavoro (carbon tax). Un diritto ora messo in dubbio dalla mancanza di autorizzazioni per quei depositi finiti sotto sequestro e per i quali gli imprenditori potrebbero vedersi chiedere il rimborso delle accise di cui hanno goduto negli ultimi 5 anni.
I numeri sono da capogiro: quasi 280 imprenditori indagati, 125 impianti sotto sequestro, assieme al carburante contenuto (170mila litri di gasolio); 12 milioni di accise da restituire (tra il 2012 e il 2015) e svariati milioni di sanzioni da pagare.
E quel che è peggio è che in alcuni casi non si parla solo di sanzioni amministrative, ma anche di reati penali: si va dal “falso in atto pubblico”, alla detenzione di materiale esplodente senza averne fatto denuncia. La vicenda è molto complessa e ogni caso è praticamente a sé stante, ma le associazioni di categoria hanno chiesto a gran voce che il problema venga affrontato nel suo complesso e nelle sedi opportune, in modo da chiarire i dubbi di interpretazione che hanno fatto ritenere agli imprenditori di essere nel giusto, mentre ora gli inquirenti contestano loro contravvenzioni amministrative e penali. Va detto che alcuni casi si sono risolti ancora prima di approdare in Tribunale. È bastato che gli interessati mostrassero di avere gli allegati richiesti per spingere lo stesso magistrato a chiedere l’archiviazione della loro posizione (una quarantina in tutto), ma c’è chi ha preferito rivolgersi subito al Riesame per ottenere il dissequestro.
Gli ultimi due casi discussi sono quelli difesi da Nicola e Paolo Marchi e da Eleonora Schiantarelli. I loro clienti si erano visti sequestrare il deposito privato e accusare di omessa denuncia all’autorità di pubblica sicurezza per la detenzione di materiale esplodente. L’altro reato ipotizzato è quello relativo alla mancanza di autorizzazione comunale del deposito stesso.
Il giudice Antonio De Rosa ha respinto entrambe le accuse, sottolineando il fatto che la denuncia per le sostanze infiammabili non è di competenza dell’autorità di pubblica sicurezza, ma semmai dei vigili del fuoco e che il certificato di prevenzione incendi oggi è stato sostituito dalla presentazione della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività). In una parola, al privato basta inoltrare sia al Comune che ai vigili del fuoco la dichiarazione di inizio attività per essere in regola. Nel caso specifico, il privato ha dimostrato di aver denunciato la progettazione, la realizzazione, nonché la messa in esercizio del suo deposito a chi di dovere. Tanto che i vigili del fuoco chiesero al privato di produrre un’asseverazione ai fini della sicurezza antincendio che l’imprenditore ha subito allegato alla pratica. Quindi tutto è in regola. Non così possono dire altri imprenditori, che la Scia non l’hanno nemmeno presentata.
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