Coniugi morti ad Aprica, entro fine giugno le perizie

Attesi gli esami autoptici, ma anche i test psichiatrici su Antonio Monticelli

Coniugi morti di stenti ad Aprica: si attendono per fine giugno sia le dettagliate perizie relative alle autopsie effettuate il 17 e il 23 aprile sui corpi dei coniugi 90enni originari di Verona, ma da qualche anno residenti nella località turistica valtellinese, Anna Maria Squarza e Giorgio Monticelli; sia la perizia psichiatrica effettuata sul figlio, Antonio Monticelli, 60 anni.

La donna è stata trovata senza vita venerdì 12 aprile nel letto matrimoniale, morta da settimane e in stato di decomposizione, accanto al marito Giorgio Monticelli, denutrito e con una gamba ormai incancrenita. Lui è spirato dopo una settimana in ospedale e dopo aver subito l’intervento di amputazione della gamba sinistra.

Già dopo gli esami autoptici era stato possibile capire che Anna Maria Squarza era morta da almeno due settimane per un prolungato tempo di abbandono della donna, di età molto avanzata. Giorgio Monticelli, invece, era spirato a causa dello stress causato al fisico, già debilitato, dall’intervento di amputazione della gamba.

Le perizie dettagliate verranno depositate dall’anatomopatologa Elisa Invernizzi dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Pavia alla fine del mese prossimo e potranno fornire ulteriori dettagli sulla morte di marito e moglie.

Ma è ancora più attesa la perizia psichiatrica effettuata il 20 aprile su Antonio Monticelli, che dovrebbe essere ancora ricoverato nel reparto di Psichiatria dell’ospedale di Sondrio. Il perito nominato dalla Procura di Sondrio è il dottor Mario Lanfranconi di Lecco, che sempre a fine giugno presenterà le sue conclusioni. Lo ha incontrato, dicevamo, un mese fa in ospedale, quattro ore di colloquio a cui ha preso parte anche il dottor Claudio Marcassoli, consulente nominato dall’avvocato Manuela Mauro che difende il 60enne, indagato per abbandono di persone incapaci e occultamento di cadavere.

Perizie e consulenze che faranno la differenza per il figlio della coppia, accusato in sostanza di aver lasciato morire i genitori e di aver nascosto il cadavere della madre. La pena per abbandono di incapace va da sei mesi a cinque anni di reclusione, mentre se ne deriva la morte sale e va da tre a otto anni di carcere, pene aumentate, poi, se il fatto è commesso da un congiunto prossimo come un figlio. Tutto questo, ovviamente, se dovesse essere riconosciuto capace di intendere e di volere; diversamente verrebbe assolto dalle accuse e, in mancanza di una comprovata pericolosità sociale, che al momento non pare assolutamente emergere, non verrebbe colpito da alcuna misura.

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