Confortola, parla ancora Moro: «Organizziamo un confronto»

Il caso Ottomila Non si placa la polemica sulle imprese contestate al “Selvadek” di Valfurva. L’alpinista bergamasco torna allo scoperto: «Non una crociata, ma una questione di rispetto»

Vafurva

Si chiude un cerchio. O forse no. Anzi, decisamente no: la diatriba che riguarda da vicino Marco Confortola è più accesa che mai.

Foto di vetta “taroccate” «Non si costruisce una carriera sulla menzogna»

A qualche settimana di distanza dalle prime dichiarazioni sulle presunte vette del “Selvadek” di Valfurva, torna a parlare Simone Moro. E lo fa, ancora una volta, con Lo Scarpone, il portale del Club alpino italiano: nell’intervista rilasciata a Gian Luca Gasca, l’alpinista bergamasco sottolinea che non si tratta di «una crociata personale». Al contrario, «è una questione di etica alpinistica e rispetto per chi la montagna l’ha raggiunta davvero».

Il resoconto

Ma facciamo un passo indietro. Poco più di un mese fa, per l’esattezza il 20 luglio, Confortola sui propri social ha annunciato il raggiungimento della vetta del Gasherbrum I, quello che a suo dire rappresenterebbe il suo quattordicesimo - e ultimo - Ottomila. Nel giro di pochi giorni la comunità alpinistica internazionale si è letteralmente spaccata, con più di una perplessità sull’effettivo raggiungimento del traguardo da parte del furvese. Prima Silvio “Gnaro” Mondinelli, poi Moro, per l’appunto, e persino Reinhold Messner e Marco Camandona hanno espresso - anche con parole pesanti - forti dubbi, a partire dalle cime contestate e dalle foto “taroccate” ad hoc.

«Quello che stiamo portando avanti - riprende ora la parola Simone Moro - non è un trattamento contro Confortola, ma a favore della verità e degli obblighi e doveri di un alpinista: se vai nelle scuole, se vuoi fare il formatore, vuol dire che sei un simbolo di onestà, del senso civico e dei valori». E nei valori «c’è anche quello della verità e di saper provare la tua verità. Di accettare il dubbio e la sconfitta. Io stesso non chiederei saldi se si mettessero in dubbio le mie invernali e metterei in fila tutte le prove e testimonianze che ho, e non solo basarmi sulla mia parola o minacciando azioni legali», ha spiegato a Lo Scarpone.

«Ce lo siamo sempre detti»

«Tra di noi, alpinisti, ce lo siamo sempre detti», aggiunge. «Tutti hanno sempre saputo che c’erano delle verità da raccontare e delle scalate da provare, ma nessuno della comunità ha mai avuto il coraggio di esporsi chiaramente». E anche ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato «appuro che tra di noi ci si dice delle cose e si ha il coraggio di scalare delle montagne ma non di difendere una verità. Io so benissimo che quello che sto facendo è scomodo, e non avrei alcun bisogno di farlo».

La scelta di uscire allo scoperto, per l’appunto, è dettata dalla volontà di far chiarezza. «Esporsi serve a far capire che non è la sensibilità di due ‘vecchietti’ (riferito a se stesso e Mondinelli, ndr), e nessuno vuole rubare fama o sponsor a Confortola», tiene a precisare l’alpinista bergamasco.

«Persone diverse dicono e scrivono nero su bianco che Confortola queste vette non le ha salite. Allora abbiamo chiesto pubblicamente: mi dimostri per piacere che tu queste vette le hai salite? Mi fai vedere le foto di vetta? E già a questa domanda arriva la risposta: tante delle foto di vetta non sono le sue e sono taroccate senza timore di smentita visto che sono state fatte vedere ai veri autori e pure fatte analizzare da esperti grafici e fotografi». E in questo senso Moro porta l’esempio dello spagnolo Jorge Egochera, cui attribuisce la paternità dello scatto sul Lhotse. «Lui ha preso la foto di un altro e ha fatto un fotomontaggio senza dire nulla. Capite che c’è qualcosa che non va?».

Non solo. «Sforzandomi nel massimo della pietà umana, penso che Confortola abbia una sorta di patologia. Ha la sua verità di quei momenti vissuti lassù, dove nessuno è lucido, e grida questa verità con tutta la sua convinzione. Ma questo non significa che si possa costruire una carriera sulla menzogna o sulle tue pseudo allucinazioni di vetta. Può essere forse un’attenuante ma l’illecito non cambia».

Questioni aperte

Insomma, «lui dice che ‘è la mia parola contro la sua’? Allora organizziamo un confronto pubblico. Sediamoci allo stesso tavolo, con tutti gli attori e componenti delle varie spedizioni a cui ha partecipato e parliamo. Mondinelli c’è e ci sono anche io e con noi invitiamo tutti quelli che hanno portato versioni e dichiarazioni diverse dalle sue che io definisco a favore della verità. Siamo tutti bugiardi? C’è in atto un complotto internazionale contro di lui? Sherpa che danno versioni, fotografie truccate, testimoni oculari, tutto solo e tassativamente falso?», si chiede il bergamasco sul portale del Cai.

«E per cosa? Per offuscare una bella e prestigiosa collezione fatta ormai da decine di persone sulla pista battuta con corde fisse già posizionate e con l’aiuto di sherpa? Tutti si sarebbero ora esposti solo per questo? E quale sarebbe la convenienza e il tornaconto per farlo? Alpinisti affermati che si prendono la briga di parlare lo fanno solo per non essere omertosi di fronte a una piega non certo virtuosa del modo di raccontare l’alpinismo e le cime raggiunte. Dai, siamo seri, non vi sembra così evidente che valga la pena un esercizio di onestà e verità su tutta questa vicenda alpinistica?». Tutte domande che al momento restano senza una risposta definitiva.

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