Ghiacciaio dei Forni, persi 40 metri in un anno. La denuncia di Legambiente

Montagna La quota è destinata a salire fino a 50 secondo il report di Legambiente. Arretrato di 400 metri in tutto

L’arretramento subito dal ghiacciaio dei Forni, nel gruppo dell’Ortles Cevedale, in Alta Valtellina, in un solo anno, è tale da far rabbrividire chiunque.

Si parla di 40 metri lineari di fronte scioltosi fra il 2021 e il 2022, per un totale di quasi 400 metri di arretramento subito dal ghiacciaio, un tempo maestoso, negli ultimi 10 anni, dal 2011 ad oggi.

E non è finita, perché, a stagione estiva terminata, si stima che l’arretramento, per quest’anno, possa arrivare, comodo comodo, a 50 metri lineari.

E’ questa l’impietosa fotografia scattata dalla “Carovana dei ghiacciai 2022”, la campagna di monitoraggio di questi preziosi serbatoi di acqua condotta da Legambiente, con la collaborazione scientifica del Comitato glaciologico italiano ed il sostegno di sponsor quali Sammontana, Frosta e Ephoto.

Partita il 17 agosto con le prime due tappe, in Val d’Aosta e in Piemonte, sul monte Rosa, la Carovana, in questi ultimi due giorni ha raggiunto proprio la Valtellina con meta uno dei suoi ghiacciai simbolo, quello dei Forni, da sempre, meta turistica d’elezione.

Che, però, oggi, pur restando il secondo più grande d’Italia dopo l’Adamello (pari a 11 kmq) e il più esteso del Parco nazionale dello Stelvio, versa in uno stato di forte sofferenza per effetto dei cambiamenti climatici.

«Quella che abbiamo osservato è l’immagine di un gigante di ghiaccio che sta ansimando - assicura Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e coordinatrice della Carovana dei ghiacciai -. Annerito, collassato, e pieno di crepacci, narra di una grande sofferenza da parte di un essere che pare vivente. E che ci sta comunicando quanto sia impellente lavorare sull’adattamento al clima mutato per gestire l’inevitabile, e, nel medesimo tempo, mitigare, riducendo l’effetto serra, per evitare l’ingestibile».

Siamo in ritardo, in poche parole, ma tutto quello che può essere fatto, va fatto, e subito, è il messaggio lanciato dalla Carovana dei ghiacciai di Legambiente.

«Questo ghiacciaio riesce a sopravvivere solo grazie alla sua imponente dimensione - spiegano gli ambientalisti - . Ma siamo di fronte ad un gigante vestito di nero, ingrigito dal colore scuro dei detriti e anche dagli effetti dell’inquinamento atmosferico, quelli che, gli esperti, definiscono “black carbon”, ovvero un composto di fuliggine, smog, ceneri derivanti dagli incendi boschivi, oltre alle immancabili microplastiche».

«Un concentrato di residui - conclude Bonardo- che diminuiscono di molto la capacità del ghiacciaio di riflettere la radiazione solare per cui, assorbendola, si fondono più velocemente».

Il gigante, quindi, perde in strutturazione ed è, quindi, sempre meno “himalayano” per effetto della frammentazione in tre corpi glaciali, per l’apertura di finestre di roccia estese, con il collasso della parte terminale della lingua valliva, e per una marcata instabilità delle morene laterali, tant’è che, sempre più spesso, come noto, si assiste a cedimenti rocciosi.

Oltretutto, spiegano da Legambiente, il processo di fusione aumenta la portata dei ruscelli che sgorgano dal ghiaccio con sempre maggiore trasporto anche di materiale solido «per cui si è creata una piana proglaciale - dicono -, inesistente fino allo scorso anno, in gergo “sandur”, in cui si depositano ghiaie e sabbie».

Uno scenario inquietante, reso tale, ancor più, dalle osservazioni di Marco Giardino, vicepresidente del Comitato glaciologico italiano, per il quale «è in corso un’accelerazione del processo di ritiro dei ghiacci«.

« Tra il 1820 e il 1995 è stato di meno di 2 km -spiega Giardino-, mentre, dal ’95 ad oggi, di 1,2 km».

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