Il viaggio di neri l’essenziale come meta

“Si dice di alcune persone che, quando entrano in una stanza, la occupano tutta. / Dovrei immaginare che, quando se ne vanno, lasciano un grande vuoto. / Sono invece portato a pensare che a lasciare un grande vuoto siano le persone umili, silenziose, che occupano soltanto lo spazio necessario, che si fanno amare”.

Uno sguardo sulla realtà
che porta con sé anche un certo ricorso all’ironia, al paradosso

Si potrebbe partire da un testo simile (citato, anche, da Papa Francesco) per definire la personalità poetica di Giampiero Neri (pseudonimo di Giampietro Pontiggia, nato a Erba il 7 aprile 1927). O da un estratto di “Pseudocavallo”: “Si accontenta degli alimenti più grossolani tenendo soltanto alla limpidezza dell’acqua. / Non occupa mai il centro della strada ma d’abitudine cammina sul margine estremo. / È ritenuto poco intelligente, caparbio e spesso di indole perversa”. Due esempi memorabili che ci consentono di entrare, con pochi passaggi, nel cuore dell’opera di una figura significativa degli ultimi decenni, un “maestro in ombra” che ha segnato, in modo incisivo e originale, la poesia italiana di fine Novecento, inizio anni Duemila.

Pur non esordendo precocissimo (i suoi primi versi escono nel 1965, a trentotto anni, sulla rivista “Il Corpo”, grazie a Majorino), già dal suo primo libro, “L’aspetto occidentale del vestito” (1976), Giampiero Neri dimostra di interpretare le esigenze di rinnovamento di quel periodo in modo del tutto autonomo, alternando i versi al poemetto in prosa, entro una dimensione narrativa in cui appaiono personaggi, oggetti, situazioni, lacerti di memoria, nonché un ricchissimo bestiario e mondo botanico che richiamano i suoi studi in Scienze naturali, in particolare “I ricordi di un entomologo” di Jean-Henri Fabre. Un “teatro naturale” che il poeta gestisce attraverso una lingua sobria, espressiva, apparentemente chiara, che, tuttavia, apre costantemente innumerevoli zone d’ombra.

Come osserva Enrico Testa, nella sua opera «lessico e sintassi sono elementare e immuni da ogni suggestione o artificio formale», «il linguaggio pare ridursi all’esclusivo esercizio della sua funzione denotativa». Eppure, «ad un’estrema semplicità linguistica [...] corrisponde un’estrema enigmaticità semantica: un rallentamento o pausa del senso, una percezione straniata e perplessa» (“Presa fra i sassi dove si nasconde / la lumaca fa udire un breve suono / unico segno manifesto / della sua muta esistenza. / Del suo andare solitario / si vede qualche volta una traccia, / come una scia luccicante nell’erba”).

Memorie

In una simile prospettiva riaffiorano in superficie la memoria (“Come l’acqua del fiume si muove / contro corrente vicino alla riva / si disperde dentro fili d’erba / lontana dal suo centro / la memoria fa un cammino a ritroso / dove una materia incerta / torna con molti frammenti”), personaggi come il Cremonese, il Cuoco, il dottor Livingstone (l’esploratore missionario d’età vittoriana), Corso Donati (l’avventuriero fiorentino medievale), che intrecciano storia personale e vicenda collettiva lasciando comunque grande spazio a una galleria di sorprendenti creature animali che attraverso il “mimetismo” (“La Pavonia”), o il loro semplicemente esserci, riescono a smascherare gli stessi comportamenti umani, parte di quel “Teatro naturale” che, come evoca il titolo stesso, comprenderà, nel 1998, in un unico volume, le sue prime tre opere: “L’aspetto occidentale del vestito” (1976), “Liceo” (1986), “Dallo stesso luogo” (1992).

Il bestiario

Appaiono così la civetta (“è un uccello pericoloso di notte / quando appare sul suo terreno / come un attore sulla scena / ha smesso la sua parte di zimbello”), il lavarello (“un pesce che vive sul fondo del lago” con “la testa piccola, come di chi deve pensare poco”), l’oca (“anche l’oca domestica, dai cortili, dalle aie, quando è il suo momento prende il volo. / Lei sa dove va. E noi?”), il gufo (“Si nasconde il gufo sul ramo / durante il giorno, / si adatta a una diversa parte / nel suo breve travestimento”), le termiti (“Si potrebbe dire che la società delle termiti si regge su una monarchia, con l’aggravante, per le termiti, che la fine del regno coincide con la fine del termitaio”), l’Opuntia (“scaglia le sue minute frecce / al solo avvicinarsi dell’intruso”).

Una realtà animale, o vegetale, che non si configura «come proiezione o segno di quella umana» (Bertoni), bensì come «realtà parallela e autonoma la cui instanza senza parola turba l’ordine del consueto» (Testa): «Se guardiamo la natura come in uno specchio», scrive Neri, «oltre le immagini riflesse di noi stessi, vi potremmo vedere le innumerevoli altre del mondo animale e i diversi comportamenti, privi delle mascherature della nostra psicologia».

Uno sguardo sulla realtà che porta con sé anche un certo ricorso all’ironia, al paradosso, con sfumature anche sarcastiche e un atteggiamento, in fin dei conti, reticente, che, in ogni caso, contempla sempre un orizzonte conoscitivo, teso a mettere l’uomo e la Storia di fronte alle proprie contraddizioni e complessità. Si pensi a un simile passaggio: “Le nostre famiglie militavano in campi opposti, ma la mia allora era vincente [...] Dopo la guerra, le ferite e i lutti, è stata la sua parte ad avere la meglio, ma se guardo al passato, mi sembra che sia stata quella fra noi due l’unica forma di democrazia”.

Storia personale e collettiva

Dopo “Teatro naturale”, seguono “Armi e mestieri” (2004) e “Paesaggi inospiti” (2009), due opere in versi nelle quali registriamo un progressivo acuirsi e intrecciarsi di storia personale, vicenda collettiva e traumi autobiografici legati alla morte del padre Ugo, a causa dalla guerra civile del 1943-1945: “In quel periodo difficile degli anni / della guerra civile / aveva preso parte / e subìto la prigione a Como, / occorreva stare da una parte / o dall’altra, diceva / “o di qui, o di là” / che solo lui rendeva credibile”. Nei libri successivi, assistiamo, invece, a un ricorso definitivo alla prosa, presentando, come suggerito dal titolo stesso, “Il professor Fumagalli e altre figure”, ovvero una galleria di personaggi, situazioni e creature animali concepiti attorno al professore delle scuole medie, Luigi “Gino” Fumagalli: “era un uomo singolare. Le sue lezioni riservavano sempre qualche sorpresa, come le sue conversazioni, inclini al paradosso”. In seguito, personaggi reali, storici e letterari confluiscono in “Persone” (2015), o lungo i luoghi attraversati e rievocati di “Via provinciale” (2017), senza mancare nuove e memorabili riflessioni esistenziali: “Che la seconda parte della vita sia occupata a contraddire la prima è di comune esperienza, per quanto spiacevole. / Si salva poco di quello che avevamo pensato, forse niente. / Cosa rimane allora del tempo passato?”.

Infine, “Un difficile viaggio” (2023), raccoglie, come opera postuma, quattro raccolte precedenti pubblicate dalle edizioni Ares (“Da un paese vicino”, “Piazza Libia”, “Un difficile viaggio”, “Un insegnante di provincia”), nelle quali il poeta si muove ancora «tra narrazione e osservazione gnomica e vicende storiche» (Cucchi), oscillando tra passato e presente, con figure che ritornano (il professor Fumagalli), nuovi personaggi e insegnamenti che accompagnano l’avventura esistenziale di noi tutti: “Aveva cominciato con la passione di un ragazzo, ma poi si erano aggiunti problemi di composizione, di misura, una ricerca di equilibrio che trovava soluzioni soltanto nei maestri. / “La bellezza è difficile” diceva Pound e dunque bisognava insistere e non perdersi d’animo”.

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