Un dante moderno ma senza il divino

ochi altri scrittori, tra quelli scomparsi negli ultimi anni, sono forse letti come Thomas Mann.

Thomas Mann
fu premiato
con il Nobel
per la letteratura

Nato il 6 giugno 1875 e morto il 12 agosto 1955, Mann non fece altro di libro in libro, che scrivere l’epopea tra arte e vita, corpo e anima, spirito e carne ed anche la sua stessa commedia, che se non può essere affatto definita divina secondo l’alta misura dantesca, non è certo rimasta del tutto umana, secondo la misura grandiosa, ma minore di Balzac. Egli lavorò, a rovescio, a ricompaginar l’uomo senza premettere a questa operazione l’intervento di Dio, come avviene nella teologia dantesca. Ma il suo amore sviscerato dell’uomo trovò ragioni, doveri e diritti così profondi e totali che, nonostante il suo “Deus” troppo “absconditus” egli è dei pochi ad aver saputo sostenere umanamente, nel nostro tempo, l’eterna guerra «sì del cammino e sì della pietade».

Essenziale è nella sua opera l’interesse ideologico sicché essa si configura come una grande discussione entro schemi prevalentemente narrativi. Il tema fondamentale, infinitamente variato ma costantemente ricorrente, è l’antitesi fra la categoria della vitalità e quella dello spirito; fra la vita che è volontà di vivere, spontaneità, forza oscura e primigenia, e lo spirito che è chiarezza e teoresi, ma cresce in proporzione alla decadenza e alla malattia. I “Buddenbrook” decadono nella misura in cui si aprono alla seduzione dell’arte. È vero che nei quattro volumi di “Giuseppe e i suoi fratelli” si fa strada un umanesimo pessimistico che dichiara illusione la volontà di vivere, riconosce la dignità del dolore umano nella fondamentale eguaglianza degli uomini e attribuisce all’arte una funzione mediatrice, ma questo avvenimento religioso, che sta tra l’immanenza e la trascendenza, tra il cristianesimo e un sincretismo di ricetta wagneriana, è anch’esso una variante del tema fondamentale le cui ascendenze storiche sono ben note.

Mann è con Schopenhauer e Nietzsche e contro «Rousseau e altri». È con Eichendorff, Goethe, Kleist, Cézanne e Strindberg. Ma non è per esempio, per Beccaria, Mazzini e D’Annunzio: non per il primo, perché mirava ad eliminar le pene e le colpe, senza di cui si «rende triviale il mondo e la vita»; non per il secondo, perché egli trova in lui «allo stato puro il massone latino, il democratico, il letterato della rivoluzione, il retore del progresso»; non è per il terzo, che è «un pagliaccio politico-estetico». Egli è invece per «un interiore patrocinio dei valori metafisici della vita» contro «il democraticismo del nostro civilculturame», contro «l’ideologia del benessere, l’apoteosi della socialità, lo spettacolo retorico-sentimental-rivoluzionario», contro «il progressismo e il migliorismo»

È per i «signori, l’autorità, la storia, il potere, la monarchia e la chiesa» contro chi è contro di loro, e costoro sono i borghesi retorici, pacifisti, virtuosi, repubblicani, figli della rivoluzione, i «nati con i famosi tre principi», eterni «urlatori dei diritti dell’uomo, ciarlatani della libertà». Ma prima di giungere a radicalizzarsi in tali estremi termini, la antitesi attraversa tutta una serie di gradi intermedi. L’immenso contradditorio si coagula e si semplifica in binomi essenziali, simbolici, in veri e propri “slogans”, colti e ricordati anche dal lettore superficiale. Anche costui sa, alla fine, che Mann è con gli Imperi centrali contro l’Intesa e per il germanesimo contro la latinità e l’internazionalismo. Ma sa anche che Mann è per lo spirito e il regime aristocratico contro la democrazia, per la vita (la natura) contro la ragione, per l’ironia contro la retorica, per la musica contro la letteratura, per l’inesplicabile (il misterioso) contro la chiarezza, per il pessimismo umanistico contro l’ottimismo filantropico, per l’immoralismo e il vizio contro il moralismo e la virtù…

Letteratura e ideologie

La posizione manniana è, vista da sinistra, quella dell’oscurantismo reazionario, ma, vista da un’altra ottica (quella di destra o di centro), si allinea con le istanze fondamentali dell’avanguardia poetico-artistica, dunque della dominante letteraria, di tutto il primo Novecento europeo. Sotto il profilo storiografico egli è così uno dei ribelli ai “clichés” della storiografia liberale che vede nel medioevo l’età delle tenebre, in Lutero e nel Rinascimento la prima riscossa, nella Controriforma il ritorno alle tenebre, nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese la seconda riscossa e magari nel marxismo la terza e definitiva riscossa. Stimoli forti alla sua insurrezione gli arrivavano dall’antiliberalismo di Goethe e di Kleist e in genere dal classicismo e romanticismo tedesco, stimoli fortissimi poi da Schopenhauer e Nietzsche.

Mann emerge nella sua opera come quell’eroe della “Montagna incantata” che, improvvisandosi sciatore, si avventura da solo su per l’alto monte. Nevica fitto lassù, e neve e nebbia confondono, uniformano ogni cosa, cancellano ogni pista, ogni segnavia. Lo sciatore solitario perde la strada del ritorno, tutte le piste tentate si rivelano vane, viziosi giri e rigiri. E nel pauroso silenzio egli non percepisce che il battito del suo cuore, un «cuore umano palpitante, completamente solo lassù nella gelida e vuota immensità con la sua domanda e il suo enigma».

Eppure nobili impulsi l’avevano attirato lassù: erano state le vette lontane, luminose e sublimi delle grandi montagne intraviste come «sacra realtà» libere sulle nebbie, era stato il mistero sacro della natura a sedurlo, uno spirito aristocratico di autodistinzione rispetto al «popolino delle slitte», l’istinto della «prestazione eccezionale». Ma la sua eroica ascensione s’era trasformata in provocazione, in voluttà di smarrimento, in vertigine peccaminosa. E diverrà, quando la morte bianca allungherà i suoi gelidi artigli sull’uomo ormai sfinito, indifferenza al vivere o al morire, al trovare o perdere la via del ritorno, vertigine nichilistica, voglia di morire. Ambiguità, sempre ambiguità: il bene e il male inestricabilmente coinvolgentesi.

Mann fu un «umanista» troppo sicuro di certezze classiche, troppo legato ad un concetto d’uomo esclusivamente umano. In Mann non esiste un problema di vita cristiana, se non come una possibile forma di discussione. Il cristianesimo è secondo lui, un argomento scolastico, sia pure d’una scuola superiore, universitaria. Significativo è, a tal proposito, il romanzo “L’eletto”. Mann sosteneva, è vero, l’ideale del far bene. E i suoi romanzi sono indubbiamente scritti bene: da questo punto di vista egli fu un lavoratore esemplare. Uno scrittore da premiare. Fu premio Nobel. Ma il bene non ebbe in lui una faccia divina.

© RIPRODUZIONE RISERVATA