Anche nel nostro presepe vivente imperversa l’influenza, nelle sue molteplici combinazioni virali, ma la vera sindrome di questi dì di festa è il “cantierismo acuto”, una sorta di cavallo di Frisia che ostacola il flusso del traffico e frantuma le ultime briciole di buonumore, già messo a dura prova da cerimonie e riti, pubblici e privati. Ho solo l’imbarazzo della scelta nel selezionare il podio delle assurdità e delle magagne viabilistiche. Sarà pure la scoperta dell’acqua calda il lamento diffuso da Laorca fino a Chiuso, ma mi sembra doveroso (che cronista sarei altrimenti) dare voce alle migliaia di automobilisti intrappolati nella giungla d’asfalto e magari ambire a conoscere le cause di un disastro da raccordo anulare, la miniera romana di imprecazioni e ritardi, degni della Fabbrica del Duomo, citata per par condicio. La verità è che ci si trova davanti a un fenomeno diffuso a ogni latitudine, mentre riteniamo che la dimensione del borgo permetterebbe un’organizzazione, una logistica e una tempistica dei lavori più efficiente e snella, pur tenendo conto di una geografia generosa di bellezze naturali, ma avara di spazi: strade e parcheggi in città hanno sempre avuto vita grama e, letteralmente, in salita.
Stupisce, tra l’altro, che i marpioni di palazzo Bovara non calcolino che la viabilità è la madre del consenso ed è improbabile che gli automobilisti e le loro famiglie si dimenticheranno di questo laccio alle prossime elezioni comunali di primavera. In tempi lontani, da responsabile della comunicazione e del personale alla Provincia di Como, ricordo che nei dintorni della campagna elettorale era un fiorire di interventi mirati nei 247 Comuni dei due rami e le lingue d’asfalto arrivavano a leccare case e ville dei potentati, compreso qualche assessore. Un malvezzo certo, un clientelismo da strada, ma pur sempre una lezione che può essere tradotta con maggior stile e minor tracotanza.
Osservando il boom di cantieri aperti in città in questi ultimi mesi, vien da pensare che il nostro sindaco, a cavallo delle sue certezze, non sappia ricorrere neppure a quella malizia che sembrerebbe far parte del suo corredo.
Fuor di metafora, nessuno mette in dubbio che una rotonda sia meglio di due semafori. Infilarne tre in poco tempo è una sfida al buon senso, ispirata alla fregola dell’apparire, magari rispolverando vecchi progetti che qualche saggio predecessore aveva lasciato a decantare. Certo non si può negare l’effetto sociale di questo modus operandi: gli automobilisti possono intrecciare amicizie da un finestrino all’altro e gli operai trasformarsi in una comunità viva. Per tacere degli “umarell” che trovano pane per i loro denti.
Che la questione viabilistica sia per natura ostica lo dimostra un aneddoto non pescato in una metropoli, ma capitato in città mezzo secolo fa.
Si era in pieno dibattito sul Piano regolatore, concepito in un clima di massima partecipazione, quando l’assessore all’Urbanistica, l’ora novantenne Pinin Resinelli, commissionò uno studio a un architetto londinese, massimo esperto di incroci e semafori. Ne uscì una proposta regale, con il difetto d’origine legato alla dimenticanza del cervellone inglese che trascurò il fatto che in Italia la guida è a sinistra. Lo studio fu cestinato perché alla prova dei fatti avrebbe dato vita a un autoscontro permanente. Non ricordo che fine abbia fatto la parcella.
Va da sé che da noi non verranno nessuna proposta e nessun rimedio: ma i tecnici non sono in grado di introdurre correttivi e migliorie, magari avvalendosi della testimonianza oculare di qualche vigile? Una specie quest’ultima in via d’estinzione, almeno nell’immaginario di chi l’ha vista operare nelle piazze e nelle vie principali con fischietto e paletta all’Alberto Sordi.
So che sarebbe un palliativo, ma qualche pattuglia capace di andare oltre la multa annunciata potrebbe rincuorare gli animi e magari tornare utile a qualche turista vagante e disorientato. Per nostra colpa, massima colpa, non conosciamo lo sviluppo degli annunciati corsi d’inglese così come dell’uso della pistola, che tennero banco per mesi in consiglio comunale. Non mi sfugge quell’oppositore, pacifista scatenato, che condannò la proposta di “riarmo”.
Tra l’altro, la massa critica che ruota intorno alla questione viabilistica non ha la stessa divisa: i pedoni, i ciclisti, i motociclisti, gli automobilisti e, ultimi arrivati ma pericolo pubblico numero uno, i monopattinisti. Ciascuno ha le sue esigenze, tanto legittime quanto spesso incompatibili con quelle degli altri e fatico a immaginare una città a misura d’uomo secondo lo slogan che ha campeggiato per lustri e lustri nei programmi dei partiti di ogni colore.
In assenza di “lampadine”, non è che sarà l’intelligenza artificiale a fornirci la chiave vincente e a surrogare la presunta sagacia di amministratori e tecnici sempre più ridotti all’osso?
Vi confesso che a me un’idea stravagante è balenata in questi giorni, anche sollecitata dalle prossime Olimpiadi invernali: perché non invocare copiose nevicate sulla città visto che noi saremmo gli unici ad avere come sindaco un Gatto delle nevi?
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