Davide e golia la sfida di castelli alla lega

Il 19 maggio del 1990, il pratone di Pontida si riempie di cinquemila barbari sognanti: è il primo di trentasei raduni. Il sermone del leader Umberto Bossi è come di consueto ruvido e diretto, gli autonomisti di tutte le regioni del Nord lo osannano. Tra gli striscioni, il più benevolo recita un pacato “Qui si disfa l’Italia o si muore”. Roma e il suo statalismo sono lontani anni luce. L’approdo al governo, invece, dista solo quattro anni. Tra i notabili del Carroccio, c’è anche un ingegnere lecchese di mezza età, Roberto Castelli, tra i primi a seguire il verbo leghista fin dal 1987. Di lì a pochi anni, compirà il salto dal consiglio provinciale comasco al Parlamento. Sarà poi ministro e sottosegretario nei successivi quindici anni.

Stacco scenico. Sempre Pontida, più di trent’anni dopo. E’ il 2024 e alle elezioni comunali, dopo un dominio pluridecennale, vince il centrosinistra. Il centrodestra, infatti, si è presentato diviso: da un lato la Lega salviniana, blu e nazionalpopolare; dall’altro, il Partito popolare del Nord proprio di Castelli, che ha candidato il suo braccio destro lecchese Francesca Losi e levato al Carroccio il 15% decisivo.

Il movimento a imprinting lariano di Castelli e Losi (ai quali si è aggiunto anche il pasdaran locale Giovanni Colombo e, più recentemente, due borgomastri di peso come Lorenzo Bodega e Andrea Robbiani) ha incassato il riconoscimento in Gazzetta ufficiale proprio in questi ultimi giorni. Lo stesso ex ministro, è cronaca di queste settimane, ha martellato a più riprese sul tema che divide ferocemente il suo attuale partito dalla sua storica casa politica. Il ponte sullo Stretto di Messina, voragine di fondi pubblici ormai diventata vessillo personale del leader della Lega, Matteo Salvini. E, tuona l’ex ministro, che ne facciamo della Lecco-Bergamo? E la Super? E il prolungamento della tangenziale? A voler essere intellettualmente onesti, ci sono fior di leghisti impegnati proprio sulle partite infrastrutturali locali (coperte, peraltro, anche dagli investimenti propedeutici alle Olimpiadi invernali ormai alle porte).

Ciononostante, ha decisamente un effetto surreale la battaglia tra presente e passato di un movimento, tra leader ed ex leader, per prendersi l’anima del Nord Italia. Una battaglia che trova forti e determinati protagonisti proprio qui a Lecco.

Nulla di cui stupirsi. La politica italiana, forse per il suo imprinting proporzionale, è in fondo quel bosco incantato nel quale ogni simbolo e ogni partito corre sempre il rischio di essere superato dal lato comodo della sua traiettoria politica, di subire Opa ostili proprio dal fronte saldo del suo elettorato. E’ stato, ad esempio, il tentativo storico di Saragat sul Psi, come del resto era l’ambizione di Democrazia Proletaria e altri “cespugli rossi” sul Pci. Si potrebbe citare anche il conflitto aperto tra Ppi e Cdu nel campo post democristiano, come del resto i batti e ribatti tra qualunquisti, monarchici e missini nella destra anni Cinquanta, e molto altro ancora.

Il derby odierno tra i nipotini di Alberto da Giussano risuona però di echi nuovi e peculiari.

Anzitutto, per la prima volta, un cespuglio federalista sembra guadagnarsi una visibilità e un radicamento più che discreto. Di esperienze analoghe se ne contavano già parecchie, dalla Liga Veneta che costò 23mila voti decisivi alla corsa 2006 della Casa delle Libertà, alla recente e mediocre esperienza del Grande Nord. La sensazione è che oggi la questione sia un po’ diversa. A comandare il Partito popolare del Nord c’è un ex ministro di peso come Castelli e, tutto sommato, una discreta truppa di colonnelli. Secondo elemento, nel Carroccio c’è una corrente silenziosa (e minoritaria) che attende da anni i segnali esterni di un ritorno di fiamma del federalismo nordista. Nel Lecchese è più o meno circoscritta alla truppa storica in scia all’ex assessore provinciale Marco Benedetti, ma la corrente interna del Comitato Nord ha un suo seguito, per quanto esiguo, anche sul piano regionale.

Quanto e come la Lega saprà giocare d’astuzia per tagliare i ponti (non solo quello di Messina, ma verso l’intera coalizione) al Partito popolare del Nord in vista delle prossime amministrative, non è dato sapersi. Certo è che al tavolo del Carroccio non manca esperienza e visibilità per tentare di oscurare l’esperimento di Castelli. E’ però anche vero il contrario. Riuscire a fare leva sulla notorietà locale di qualche colonnello e conquistarsi l’accesso in solitaria a qualche consiglio comunale di peso garantirebbe ai federalisti un posto al sole che, tanto per fare un confronto impietoso, al Nord non ha più nemmeno il Movimento Cinque Stelle. Insomma, la battaglia politica potrebbe essere lunga e non priva di colpi di scena. E il Barbarossa, questa volta, se ne starà in disparte a guardare.

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