Elezioni: necessario un progetto per la città

Se allunghiamo lo sguardo oltre i ponti, per sbirciare come il politicame s’arrabatta qua e là per conquistare le bandierine del comando e soprattutto se ci soffermiamo a osservare la decadenza di certi partiti, ne caviamo la convinzione che dalle nostre parti - in specie nel Lecchese e nel Sondriese - la gestione della cosa pubblica sia assai più sana e limpida e che tutto sommato rispetti le regole e sappia mantenere la dignità e l’onore.

In particolare non posso non riferirmi alle prossime elezioni regionali, nelle Puglie, in Campania, in Calabria. Al loro cospetto il clientelismo della Democrazia Cristiana era un peccato veniale commesso da chierici, anche se la statura dei protagonisti era da cardinali o perlomeno di prevosti che avevano il polso e la fiducia dei loro fedeli.

Prendi le Puglie e trovi che il candidato alla presidenza, Antonio Decaro, già sindaco di Bari ed eurodeputato, eletto con suffragi, andreottiani è dato per vincitore con percentuali bulgare. Il centrodestra è destinato a un ruolo di comparsa. Eppure il Pd è riuscito a trasformare il campo largo in un campo minato. Decaro non accetta nella lista il suo predecessore Michele Emiliano e non gradisce neppure Nichi Vendola, già presidente per due legislature e finito miseramente per aver sghignazzato sulla tragedia dell’Ilva. Anche da qui si tocca il potere nella sua accezione più degradante, clientelare e caratterizzato da rivalità non propriamente nobili. Ti sposti in Campania e per ottenere la poltrona per il pentastellato Roberto Fico, la segretaria Schlein in persona ha regalato le chiavi del partito campano al figlio del governatore Vincenzo De Luca con promesse e spartizioni destinate ad avvelenare i pozzi, allontanare i giovani, legittimando l’opinione diffusa e antica che la politica sia una cosa sporca.

Scendi in Calabria e qui il magheggio lo inventa il presidente uscente Roberto Occhiuto che, trovatosi impigliato in vicende giudiziarie, ha interrotto il mandato e ha indetto nuove elezioni. Il comportamento richiama quello del ragazzino capriccioso che quando sta perdendo porta via il pallone e annulla la partita. A conferma del mio giudizio sull’eccessivo potere dei presidenti di regione, che, non a caso, quando s’insediano, mettono le radici e sarebbero disposti a restarvi vita natural durante. Capite perché li si chiama in propriamente governatori.

Tre esempi che valgono anche per Toscana, Veneto e Friuli sia pure con connotazioni e stili più lontani da cacicchi e camarille.

Torno ai nostri territori e tiro un sospiro di sollievo. Basti pensare che assai di rado i magistrati hanno messo piede nelle istituzioni e che un pm a palazzo è come vedere un astemio in enoteca. Ho esaurito l’incenso, seppur profuso con sincerità e provo ad occuparmi, in poche righe, della situazione lecchese a sei mesi dal rinnovo del consiglio comunale. Per comodità, segnalo tre punti. Il primo riguarda l’eccessiva fretta di trovare un candidato sindaco, soprattutto nel centrodestra, ma anche nel centrosinistra che, Mauro Gattinoni a parte, promette di presentarsi frastagliato e frammentato. Per esperienza personale, e vi assicuro che ormai il mio block notes ne ha viste di tutti i colori, la più parte dei sindaci della Seconda repubblica sono stati pescati nell’ultima settimana, quando non a tre giorni dalla presentazione delle liste. Se non ci sono leader o figure carismatiche o personaggi portatori sani di consenso sarà necessario lavorare sulla squadra. Che è il secondo punto delle mie osservazioni. L’esempio può venire dal calcio, e qui vado a nozze. La Grecia vincitrice degli Europei di calcio del 2004, il Verona di Bagnoli scudettato nel 1985 e su tutti il Leicester di Ranieri campione di Premier league nel 2016. In queste anomalie al limite dell’impossibile non furono singoli campioni a brillare, ma la compattezza del gruppo e la guida tecnica. Anche la musica è ricca di sorprese clamorose. Questa l’ho letta e mi è parsa grossa: il più celebre gruppo del Novecento, i Beatles, non erano singolarmente virtuosi, eppure capaci di comporre brani indimenticabili. L’ultimo punto della riflessione di oggi riguarda l’assenza di un progetto, di un’idea di città, di quella che si chiama visione, un vuoto che andrebbe sì colmato da domani mattina. Facciamola corta: si chiama programma che non può risolversi, dopo il contrastato mandato Gattinoni, in un elenco di promesse generiche, di opere mai corredate di tempi, procedure e risorse, mentre spopolano proposte scontate e condite di sociologismi e analisi che vanno bene a ogni stagione e a ogni latitudine. Per tacere del pensiero social con personaggi di seconda e terza fila che sdottorano sull’intero scibile locale e internazionale. E’ qui che temo si vada componendo un inno alla mediocrità, l’ultima delle derive delle quali necessita Lecco, chiamata a rinascere con una proposta autorevole e credibile, che sappia superare la logica delle appartenenze e perciò in grado di catturare l’attenzione, l’impegno e la partecipazione di troppi che oggi snobbano le urne e si adagiano sul divano delle lamentele.

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