
Da sempre considero la politica una disciplina a sé, sfidando l’ampia maggioranza dei cittadini che invece tendono a relegarla in un territorio generico, dove regna non l’arte del fare, ma dell’affare. La premessa è doverosa anche per motivare certi giudizi e analisi che vengono declinati sul piano personale quando invece l’uomo ‘animale politico’ di Aristotele è figura nobile ed essenziale per il governo della cosa pubblica.
In sostanza, la fauna in circolazione qui e altrove e persino all’estero (dove i governi hanno la solidità delle palafitte) purtroppo legittima il distacco, la sfiducia e la diserzione dai seggi. E non è neppure questione anagrafica o di genere, tanto più se si dà un’occhiata alla storia locale e nazionale, dove un Guido Puccio divenne sindaco a trent’anni, Cesare Golfari a 28 e Guido Alborghetti parlamentare comunista alla stessa età, mentre a Roma ormai l’acme della carriera la si tocca anche a novant’anni. Giorgio Napolitano docet. E in quanto a carriere che dire di Pierferdinando Casini, deputato con i calzoni corti e ora, da abile prezzemolino, aspira alla presidenza della Repubblica? Insomma, non ci sono regole. E allora ci si sposta sul merito con il rischio di passare dalla padella alla brace. In gioco c’è sempre la qualità della persona e lo spessore delle sue scelte. Abbiamo anche a Lecco apprezzato negli anni Settanta un Vittorio Calvetti che da preside e latinista approdò a Montecitorio e Angelo Bonaiti che non trascurò mai la sua attività forense sia da sindaco, sia da parlamentare.
Osservazioni in libertà e di carattere generale, ma facilmente declinabili in chiave lecchese specie alla vigilia di elezioni comunali che vanno ben oltre il lustro previsto dalle norme. Non nascondo che da vecchio frequentatore di marciapiedi e piani alti, di stanze di partito e redazioni, provo autentica soddisfazione quando vedo giovanotti e fanciulle impegnati in politica, nello studio, nei mestieri e nelle professioni.
Di recente, non mi capita spesso, ho elogiato a destra e a sinistra l’avvento di una nuova generazione che guida formazioni con l’ambizione di contribuire con progetti, idee e proposte al benessere e alla crescita della collettività. Di contro, resto perplesso davanti alle candidature che fioccano per il ruolo di primo cittadino. E’ un passaggio che anche in passato ne ha riservate di tutti i colori, ma specie nella Prima repubblica il sindaco usciva da confronti e mediazioni che duravano anni.
L’elezione diretta ha introdotto criteri di selezione fondati sulla popolarità del candidato, sulla sua immagine e sulla capacità di attirare consenso oltre il perimetro dell’appartenenza con il rischio che pesino più i sorrisi a favor di camera che esperienze maturate sul campo. Basterebbe osservare i manifesti degli ultimi anni per cogliere questo spirito dei tempi. Aggiungiamoci il dilagare dei social che hanno sostituito gli incontri con i cittadini e persino la vita stessa dei partiti che non son più luoghi di formazione, ma di derive autoreferenziali, di pacche sulle spalle e dita negli occhi. Ne scaturisce un’eccessiva considerazione di sé, dove quattro gatti fanno una falange.
I sindaci che io ho conosciuto, anche quelli dai quali ho dissentito apertamente, avevano una conoscenza teorica e pratica dell’amministrare che gli faceva perdonare, magari, qualche congiuntivo slittato e magari una cultura vacillante. Tra l’altro scorrendo i nomi in gioco, ciascuno dignitoso a modo suo, ma non per questo, a mio parere, titolato a guidare il processo di rinascita della città, vedo la mancanza del genere femminile. Se escludiamo l’appassionata e preparata Eleonora Lavelli, leader di Azione, non c’è germoglio che lasci intuire una fioritura rosa nei nostri pubblici consessi. Sono le donne a essere restie oppure c’è aria di un maschilismo di ritorno dopo l’ubriacatura delle pari opportunità?
Tra l’altro, immaginando una trentina di candidati per ogni lista, compresa la compagine di quelli nati alla fine della guerra che l’estroverso Marco Cariboni sta mettendo in piedi, faccio due conti e in pista ritroveremo qualche centinaio di lecchesi. Da sempre c’è un gregariato senza pretese pescato dall’elenco telefonico nel mare indistinto dei conoscenti e dei parenti alla lontana.
Insomma è evidente che la partita sarà disputata tra pochi titolari e panchinari, quelli che spinti da sana ambizione civica ci credono e quelli che hanno intravisto un pertugio per infilarsi e uscire dalla zona d’ombra dove ora si trovano confinati. Ci vuole un sussulto nel nome di Lecco, della sua storia e del suo futuro: un bel derby tra centrodestra e centrosinistra, con un arbitro non neutrale al centro, riscatterebbe il rischio di cadute di metodi e contenuti che fanno pensare a una partitella tra scapoli e ammogliati.
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