Editoriali / Lecco e Sondrio
Lunedì 08 Settembre 2025
Elezioni regionali, fuberie sul risiko dei candidati
Le elezioni regionali si avvicinano - il primo appuntamento è per il 29 settembre, si vota nelle Marche - e gli schieramenti, una volta stabilito che rimarranno uniti, fanno una gran fatica a scegliere i candidati presidenti, e soprattutto a cercare di sbarazzarsi dei loro predecessori, oltremodo ingombranti e potenti.
A parte il caso De Luca in Campania, un pericolosissimo gioco di furberie il cui croupier è il medesimo governatore-sceriffo sosia di Crozza, ci sono altri due casi emblematici di queste difficoltà di cui si parla in queste ore: la Puglia e il Veneto. Il primo, dopo tanti maldipancia del centrosinistra, sembra che si sia risolto; l’altro è un vociante cantiere ancora aperto del centrodestra. Le difficoltà di entrambe le regioni sono identiche.
La Puglia, dicevamo. In quella regione, largamente di centrodestra ma governata da tanti anni dal centrosinistra, il cosiddetto campo largo per sostituire l’amabile tiranno Michele Emiliano aveva un candidato ideale: Antonio Decaro. Già amatissimo sindaco di Bari, parlamentare europeo da 500mila preferenze, neanche sfiorato dalla buriana giudiziaria che a fine mandato ha terremotato la sua giunta, dotato di un carisma da uomo della strada e da una discreta capacità amministrativa che insieme hanno conquistato il cuore dei baresi. Quando gli hanno proposto di candidarsi, ha posto solo una condizione: non voleva in Consiglio né il suo padre-padrone Michele Emiliano governatore uscente, né Nicki Vendola, predecessore di Emiliano, entrambi tarantolati dalla voglia di rimanere su piazza. Richiesta, quella di Decaro, del tutto giustificata e giustificatamente perentoria: o io o loro, del resto l’ex sindaco non ci sta a passare per un mezzo governatore.
Da lì è cominciata una telenovela me ne vado-non me ne vado, mi candido-non mi candido, che ha portato a questo risultato: Emiliano, molto malvolentieri, e meditando vendetta, si tira indietro (ma chissà cosa ha chiesto in cambio), mentre Vendola tira diritto per la sua strada, peraltro tracciata da un partito diverso dal Pd, l’Avs, e quindi non proprio agli ordini della Schlein. La quale con molta pazienza ha fatto il giro dei quattro cantoni per tenere ferma la candidatura di Decaro, e alla fine l’ha spuntata. Ma la politica pugliese, si sa, è molto simile ad una jungla, non si escludono trappole sotto le foglie. Una cosa è certa: in Regione mandare in pensione i vecchi e potenti “cacicchi” è impresa durissima. Come in Veneto.
In Veneto c’è soprattutto Luca Zaia. Governatore per tre mandati, 70% di voti. In pratica la Liga - e la Lega - da quelle parti portano il suo nome e cognome. Ha fatto di tutto per rimanere in sella, ma il quarto mandato, impossibile per legge, Giorgia Meloni non glielo ha permesso, niente deroghe. Per una ragione evidente: Fratelli d’Italia in regione ha il 30% dei voti e mira a prendersi la poltronissima del Doge. Per ottenerla però deve giocare la partita con Zaia prima ancora che con Salvini (che avrebbe voluto il governatore ancora a Venezia piuttosto che a Roma).
I leghisti finora però non hanno mollato: il governatore spetta a loro, e Zaia deve essere della partita con una sua listona molto più potente di quella ufficiale del partito. Il caso a oggi è ancora aperto, i colloqui e gli incontri si susseguono ma la soluzione è lontana. Un po’ come succedeva in Puglia, no? C’è chi dice che si aspetta il voto marchigiano per capire se FdI perderà il “suo” governatore uscente Acquaroli o se invece riuscirà a mantenerlo in sella. Il risultato potrebbe influire su Venezia, per un complicatissimo risiko all’interno della maggioranza. Gli elettori guardano, poco capiscono, molto disertano.
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