Feste abolite e austerità se la Francia deraglia

È sempre utile sapere quel chae accade in Francia. Non solo perché il vento che soffia da Parigi spesso finisce per arrivare anche da noi. Ma perché il Paese d’Oltralpe, nel bene e nel male, resta ancora il laboratorio politico e sociale del Vecchio Continente. E oggi quel laboratorio rischia di esplodere, alle prese con una cura da cavallo necessaria, a detta del suo medico, a evitare «la maledizione del debito». Con queste parole il primo ministro François Bayrou ha presentato il piano di austerità più severo della Quinta Repubblica: 43,8 miliardi di euro da tagliare, un intero anno di spesa pubblica congelata e, come simbolo della svolta, la soppressione di due feste nazionali: il Lunedì di Pasqua e l’8 maggio, giorno della vittoria sul nazismo. La Francia è ormai «il malato d’Europa», con un debito pari al 114% del Pil, peggio degli altri due Paesi del «Club Med» Italia e Spagna. «Lo Stato è in prognosi riservata», ha dichiarato Bayrou. L’obiettivo? Scendere dal 5,4% di deficit nel 2025 al 4,6 nel 2006 fino 2,8% nel 2029. Il nuovo «plain budgétaire» è un messaggio all’Europa e agli investitori: lo Stato non intende finire nel mirino dei mercati.

Ma il prezzo da pagare rischia di essere altissimo. Toccare la memoria della Liberazione per i francesi è come strappare la bandiera del 25 Aprile da noi: un suicidio simbolico. E infatti si sono ribellati tutti: dalla gauche di Mélenchon alla destra di Marine Le Pen e naturalmente i sindacati, che già lucidano i fischietti in vista della rentrée autunnale. L’homme du milieu, uomo del mezzo, come viene chiamato per il suo centrismo politico, al momento tira dritto, con la sua faccia mesta e un po’ equina da commissario Maigret.

La manovra prevede misure drastiche: maggiori tassi, nessun adeguamento all’inflazione per pensioni e contributi sociali. Un dipendente pubblico su tre in uscita non sarà rimpiazzato. Cinque miliardi saranno tagliati alla sanità, stretta anche sugli assegni di disoccupazione e raddoppio della franchigia sui medicinali. La terapia choc si ripromette di «arrestare il declino» e risente del momento storico. La difesa, infatti, non si tocca. Anzi, la spesa militare crescerà di 3,5 miliardi l’anno. È una delle poche voci in aumento, nel segno della dottrina Macron che, dopo il discorso del 13 luglio, ha messo le «minacce contro le libertà» al centro dell’agenda strategica.

La scena, nel sistema semipresidenziale francese rasenta il paradosso. Il presidente, cui si deve l’aumento in sette anni di 1.000 miliardi di deficit, preferisce che sia il premier Bayrou a levare le castagne dal fuoco e mostra un certo disinteresse verso la situazione, a parte un blando e pilatesco sostegno formale («Se altri hanno idee più intelligenti, si facciano avanti»). L’inquilino dell’Eliseo, l’ex banchiere diventato presidente, delega il compito ingrato dei tagli draconiani al suo presidente del Consiglio, l’antico professore di lettere classiche di un liceo dei Pirenei, l’umanista appassionato di Enrico IV, quello del celebre «Parigi val bene una Messa». Ma in questo caso la Messa è finita e i fedeli, prima di uscire, dovranno lasciare cospicue offerte nel piatto della colletta. L’autunno sarà infuocato. Senza una maggioranza stabile e il fiato corto sul collo delle opposizioni, Bayrou rimarrà solo.

E il voto dell’Assemblea nazionale sulla legge di bilancio 2026 potrebbe diventare il capolinea del suo governo. Per tanta gente infatti si tratta solo dell’ennesimo capitolo di un’austerità a senso unico, dove a pagare sono sempre gli stessi. E dove, ancora una volta, si taglia tutto tranne ciò che serve a fare la guerra. I francesi potrebbero ritirare fuori i loro gilet gialli. In fondo hanno messo a ferro e fuoco mezzo Paese per molto meno: l’aumento della pensione di vecchiaia da 62 a 64 anni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA